Le Lettere

L’armocromia del migrante

La solidarietà è sacrosanta e quindi ben vengano in Italia gli ucraini che fuggono dalla guerra. Ma mi chiedo: perché per loro ci facciamo in quattro e invece per i sudanesi niente?
Igor Torelli
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Gentile lettore, è una questione di armocromia. Nelle nostre case quella gente dalla pelle bruna stona con le pareti color salmone dei salotti e con i mobili di Ikea in pino norvegese: lo sapevano già i Beatles quando cantavano Norwegian wood. Anche a tavola, immagini quelle epidermidi marroni accostate alle porcellane di Richard Ginori: sarebbe orribile, diciamolo. E poi l’abbigliamento. Che facciamo, roviniamo l’effetto del trench verde smorto di Elly Schlein o delle sue giacche color fragola marcia, mettendole vicino un bambino dalla pelle biscottata tipo tigrotti della Malesia di Emilio Salgàri? Sarebbe un’offesa per l’armocromista Enrica Chicchio, che si fa un mazzo così per scegliere i colori. L’armocromia è una cosa seria, tant’è che i Papi da secoli si vestono in total white, mica si mettono la mantellina marrone o lo zucchetto color cacca-di-neonato. Stesso discorso per gli yemeniti, scuri come un toast bruciato, a parte che il toast se lo sognano perché da otto anni vivono sotto le bombe e nella fame. Insomma, c’è gente che si abbina bene alle macerie della casa propria, e quindi non c’è bisogno di portarla da noi. Per l’Ucraina è diverso. Ha letto La Notizia di ieri? La Ue dice che i soldi del Pnrr, anziché essere sprecati per ospedali, scuole, infrastrutture, ecc., è meglio usarli per fabbricare munizioni da regalare gli ucraini. Ecco, questa è vera solidarietà, e ne dobbiamo andare orgogliosi.

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