Latina, dopo anni si scopre chi ha inquinato

di Angelo Perfetti

Nel giorno in cui tutti parlano dell’affare Malagrotta, ce ne è un altro che non solo in qualche modo coinvolge la galassia Cerroni, ma testimonia come nel business rifiuti ci sia una guerra in atto tra i colossi che gestiscono il settore. Una guerra che di sponda riguarda anche il Comune di Latina, la Provincia, la Regione e l’Arpa Lazio. Un guazzabuglio di perizie, intimazioni, conferenze dei servizi, ricorsi al Tar che ha trascinato per anni un contenzioso, contribuendo così a peggiorare la situazione delle falde acquifere della provincia pontina. E così, mentre la burocrazia e la giustizia si prendevano i propri tempi, l’ambiente continuava ad essere ferito. E non finisce qui, perché questa sentenza del Tar innescherà ulteriori cause per risarcimento danni.

La storia
Da molti anni a Borgo Montello esiste una discarica di prima categoria. L’area in questione è stata interessata da un fenomeno di inquinamento che ha indotto le amministrazioni interessate a promuovere procedimenti per la bonifica. L’Arpa Lazio nel tempo ha monitorato la situazione, registrando un costante peggioramento nonostante le sollecitazioni fatte alle aziende coinvolte. E qui nasce il problema. La gestione dell’area non è in capo ad un solo gruppo, ma a due: La Indeco srl e la Ecomabiente, società partecipata al 51% dalla Latina Ambiente, controllata dal Comune di Latina. Amministratore di quest’ultima è quel Bruno Landi coinvolto nell’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti che ha coinvolto “il Supremo”. Un corto circuito di cui parleremo tra breve.
Fatto sta che l’Arpa Lazio, nell’impossibilità iniziale di capire bene a chi attribuire le responsabilità dell’inquinamento delle falde acquifere, ha coinvolto tutti i soggetti interessati (Indeco, Ecoambiente e Ecotecna) intimando loro di provvedere alla bonifica. Ne è nato un lungo contenzioso giudiziario, fatto di perizie e controperizie, ricorsi e ricusazioni, alla fine del quale è stata accolta la tesi di Indeco: non si può fare di tutta un’erba un fascio. Il tratto di discarica gestito da Indeco era stato gestito correttamente sotto il profilo dei rischi ambientali, e anzi con la spesa di 800 mila euro si era sanata anche una riscontrata defaillance i una delle vasche. Ma non tale da provocare quello squilibrio di dati registrati dall’Arpa Lazio.
Il corto circuito
In questa storia sono diverse le cose su cui ragionare. In primis la lentezza dei processi in Italia, che certo non è una novità, favorita dalla possibilità di fare ricorsi a raffica per vedere accertate le proprie ragioni. Tempi troppo lunghi, nelle more dei quali – in mancanza di una responsabilità accertata – l’inquinamento non si ferma. Con buona pace degli interessi della collettività e della salute pubblica. Non che tutto sia rimasto immobile, intervento ne sono stati fatti, ma come detto l’assenza di certezze non ha giovano alla risoluzione del problema. L’altro aspetto riguarda il conflitto di interessi politico-imprenditoriale. Eh già, perché chi ha lanciato l’allarme, cioè il Comune di Latina che ha giustamente preteso la bonifica dei territori inquinati, è però anche controllante di chi è stato accusato dall’Arpa di aver inquinato, cioè quella Ecoambiente di cui – come detto – è partner. Controllante e controllato, dunque, sono la stessa cosa, con in più il fatto che la controllata è anche legata a quel Cerroni – signore incontrastato delle discariche – finito ora nei guai proprio per la gestione delle stesse.
Insomma, l’ambiente sembra sempre più terra di conquista, e spesso il limite tra la buona imprenditoria e il business sena scrupoli è sottilissimo. Per questo non è possibile aspettare sei anni per capire chi abbia ragione: è un tempo troppo lungo per parlare di “giustizia”.