L’Autonomia spacca il Paese. Il Senato boccia il decreto Calderoli

Il Servizio del Bilancio del Senato ha passato al setaccio il disegno di legge sull'Autonomia rilevando alcune criticità.

L’Autonomia spacca il Paese. Il Senato boccia il decreto Calderoli

“Se l’autonomia si blocca, lascio la politica. Per davvero, non come Renzi”. Con queste parole il ministro leghista Roberto Calderoli soltanto lunedì, in un’intervista a Repubblica, ostentava sicurezza per una riforma che nel Carroccio attendono da secoli. Eppure dopo appena 24 ore c’è da chiedersi se ripeterebbe questa frase, la quale ha scatenato un mare di meme sul web e anche la risposta divertita del Movimento 5 Stelle secondo cui “allora è un motivo in più per far saltare l’autonomia differenziata”, visto che a ritenerla sgangherata non è qualche prezzolato giornalista e nemmeno un politico dell’opposizione ma il Servizio del Bilancio del Senato.

Il Servizio del Bilancio del Senato ha passato al setaccio il disegno di legge sull’Autonomia rilevando alcune criticità

Secondo il documento, di cui è stata pubblicata una sintesi sulla pagina Linkedin di Palazzo Madama, “il Servizio del Bilancio del Senato ha passato al setaccio il disegno di legge, rilevando alcune criticità. Nel caso, ad esempio, del trasferimento alle regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato (e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie), ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale”.

Per effetto di tutto ciò si verrebbe a creare, continua l’atto, il “rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate”. In altre parole è più che probabile, per non dire scontato, che le disuguaglianze tra i territori aumentino. Ma se possibile è ancora più duro il passaggio successivo in cui si legge che “le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà finanziarie, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive”.

In questo modo “il trasferimento delle nuove funzioni amministrative” a comuni, province e città metropolitane da parte delle regioni differenziate “potrebbe far venire meno il conseguimento di economie di scala, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione”. Intendiamoci quello che ha messo nero sul bianco il Servizio del Bilancio del Senato – dovendo poi correre ai ripari con una precisazione in cui si afferma che il testo è “solo una bozza” – non è un inedito. A simili conclusioni sono giunti già diversi studi indipendenti, come anche il senso comune, che da tempo avvertono sui rischi di un’autonomia che “rischia di spaccare in due il Paese”.

Altri rilievi, come ricorda Repubblica, erano stati mossi pure dall’Ufficio parlamentare di Bilancio secondo cui l’approvazione del disegno di legge firmato da Calderoli aumenterebbe gli squilibri a dismisura. Critiche che sono piovute anche dalla fondazione Gimbe con il presidente Nino Cartabellotta convinto che il decreto Calderoli presenta enormi criticità e rischia di dare “il colpo di grazia al Sistema sanitario nazionale. L’Italia è un Paese spezzato in due rispetto a quello che riguarda la performance nella erogazione dei livelli essenziali di assistenza” e ciò ha generato “una mobilità sanitaria verso le regioni del nord.

E non è un caso che le tre regioni che hanno già avanzato e siglato con il governo gli accordi per le autonomie differenziate siano Lombardia, Emilia Romagna e Veneto” visto che sono quelle che “nel 2020 hanno fatto il 94% del saldo attivo della mobilità”. Insomma “così come scritto il decreto Calderoli rischia di dare il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale”.

Una bocciatura, quella contenuta nello studio comparso sulla pagina social del Senato, che per forza di cose entrerà a far parte del dibattito politico relativo alla riforma che, come annunciato da Calderoli, inizierà martedì quando il provvedimento approderà in commissione Affari costituzionali del Senato dove verranno effettuate “58 audizioni tra rappresentati istituzionali, Conferenza delle Regioni, Associazione nazionale Comuni italiani, Unione Province italiani, governatori sindacati e professori”, conclude il ministro leghista.