di Gaetano Pedullà
Un cane che si morde la coda. E che alla fine azzanna tutti noi. Questa è la scena svelata dall’ultimo rapporto dell’Abi, l’associazione delle banche sanguisughe italiane. Peggio dei Forconi, gli istituti stanno paralizzando il Paese. Fanno tutto meno che il loro mestiere. E a novembre i prestiti a famiglie e imprese hanno toccato il minimo storico. Senza soldi le aziende sane con crescono e quelle anche in leggera difficoltà chiudono. Salta il lavoro e famiglie e imprese non riescono a restituire il dovuto. Così volano le sofferenze bancarie. Gli istituti rispondono concedendo ancora meno credito e così via fin quando il sistema prima o poi collasserà. C’è pericolo più grande per la nostra economia? No, non c’è. Ma nonostante questo il governo continua a girarsi dall’altra parte. Nessun sussulto, nessun gesto d’indignazione per il danno immenso che queste banche stanno facendo all’Italia. Gli istituti, si obietterà, devono seguire le loro regole, rispettare i parametri di Basilea, evitare di farsi trovare disarmati di fronte a una nuova possibile tempesta sui mercati finanziari. Prima di tutto però dovrebbero fare il loro lavoro. Non prenderci in giro con pubblicità che se possibile affossano ancora di più la loro reputazione. E fare il loro lavoro è ottenere un giusto guadagno fornendo risorse finanziarie, elemento fondamentale in qualunque sistema economico. Queste banche invece fanno utili per centinaia di milioni riducendo la loro operatività e alzando i margini sui servizi, facendo strapagare commissioni e interessi. Per far finta di fare il loro lavoro, e poi in realtà non farlo, i nostri banchieri hanno recuperato il trucco più antico del mondo: allungare le pratiche con burocrazia e scartoffie. Tutto fa brodo per perdere tempo e rinviare le decisioni. E che importa se nel frattempo anche le aziende sane iniziano a soffrire. Dal governo, invece degli insulti arrivano i regali, come la rivalutazione delle quote in Bankitalia. Così non stupiamoci se però il Paese muore.