Grillo offre una tregua a Renzi

M5S ora ammicca a Matteo, ma fino a ieri quanti insulti

di Luca La Mantia

La domanda è la seguente: voi vi fidereste? Se lo starà chiedendo in queste ore Matteo Renzi. L’apertura del Movimento 5 Stelle nei confronti del suo Governo è stata un fulmine a ciel sereno. Ma come? Proprio loro, i duri e puri, quelli che avevano a più prese ripetuto di non volersi mischiare nei giochini della vecchia politica ora si dicono pronti a partecipare al processo riformista? La storia puzza. Perché vabene che in politica la divaricazione tra amico e nemico è sempre molto labile ma qui  si esagera. Se c’è un personaggio che in questi mesi è stato messo sotto il fuoco incrociato dei Cinque Stelle questi è proprio Matteo Renzi. A partire da quel “memorabile” confronto in streaming che andò in scena lo scorso 19 Febbraio. Un giorno prima, fuori dall’Ariston di San Remo, Grillo aveva già iniziato il cannoneggiamento sul Premier. “È il vuoto assoluto, un cartone animato. È stato mandato al governo dalle banche” aveva detto il leader pentastellato che aveva poi definito Renzi “un Arlecchino con due padroni, De Benedetti e Berlusconi”. Più o meno lo stesso concetto espresso nel faccia a faccia del giorno seguente. Grillo era stato chiamato dai suoi attivisti a incontrarsi direttamente con l’allora Premier incaricato a Montecitorio, dove si svolgevano le consultazioni per la formazione del nuovo Governo. “Qualsiasi cosa dici non sei credibile” fu l’esordio di Beppe che poi proseguì dicendo: “Sono qui per esprimere la nostra totale indignazione a quello che tu rappresenti, non ci interessi, rappresenti De Benedetti e gli industriali, fai il giovane ma non lo sei. Tu sei una persona buona che rappresenta un potere marcio. Un minuto? Non te lo do. Non abbiamo nessuna fiducia in te”. Renzi provò a contrattaccare : “non sei mai stato democratico”. Ma la risposta di Grillo fu pronta “con te non sono democratico”. Nei mesi che hanno preceduto le ultime elezioni Europee, poi, i toni del numero uno del Movimento 5 Stelle nei confronti di Matteo e del suo Governo sono stati sempre più esacerbati. “Ebetino di Firenze”, “Renzie”, “mi fa pena” e chi più ne ha più ne metta. E se Grillo sparava a zero  gli altri del M5S non è che scherzassero. Durante la chiusura della campagna elettorale a Roma anche un tipo normalmente calmo come Gianroberto Casaleggio ha avuto modo di dire la sua sul Premier. Si parlava dell’eredità morale di Enrico Berlinguer che, in quegli infuocati giorni, Dem e Cinque Stelle si litigavano. Renzi, sempre da Roma, aveva invitato Grillo a “sciacquarsi la bocca prima di parlare di Berlinguer”. “Si sciacqui lui la bocca – era stata la risposta di Casaleggio dal palco di piazza San Giovanni – perché l’ex segretario del Pci ha lanciato la questione morale ma questo Pd ha nel suo Dna solo la questione immorale”. Senza dimenticare quanto aveva detto Alessandro Di Battista durante una seduta alla Camera, quando aveva definito Renzi un “rottmatore condannato in primo grado”. Soft non è stato, nel recente passato, nemmeno Luigi Di Maio. Il vicepresidente della Camera, rispondendo a una provocazione del leader del Pd (il quale sosteneva che i Cinque Stelle avrebbero governato nel prossimo secolo) aveva detto: “spiegategli che noi stiamo candidando solo gente incensurata, non mazzettari e tangentisti. Tra un po’ la direzione del Pd la faranno a Regina Coeli”. Parole, per capirsi, di un paio di giorni fa. Insomma torna la domanda iniziale: voi vi fidereste? Renzi la mano sul fuoco sulla folgorazione sulla via di Damasco dei Cinque Stelle non ce la vorrebbe mettere. Questo improvviso cambio di marcia nei suoi confronti gli puzza tremendamente di bruciato. C’è sempre il rischio che dietro la tregua chiesta dai grillini si nasconda il trappolone: far uscire allo scoperto il Premier e poi condurlo nella palude. Insomma un giochino da vecchia politica: faccio finta di darti una mano con le riforme e, poi, ti metto in difficoltà dandoti per giunta la colpa davanti agli italiani in caso di fallimento. Fantapolitica? Forse. Di certo c’è che Grillo ora deve tenere buona una parte della sua base la quale continua a rimproveragli la linea dura mantenuta negli scorsi mesi. L’avvicinamento a Renzi, infatti, tranquillizzerebbe il suo elettorato.Dandogli poi il tempo di decidere dove andare.

 

Ok di Re Giorgio a Renzi sull’accordo coi grillini

di Lapo Mazzei

D’accordo in un Paese democratico che si rispetti, e l’Italia lo è ancora, il sistema elettorale è un dettaglio importante, ma non fondamentale. Soprattutto se la crisi economica continua a bucare le tasche degli italiani e le tasse a mordere sul collo e medie  imprese, sapendo bene quali effetti devastanti produce questo combinato di fattori negativi.   E un altrettanto importante dettaglio di un Paese democratico è il modo con il quale viene scelto il capo dello Stato. Dettaglio appunto, non elemento  fondamentale. I provvedimenti su tasse e lavoro, semmai, sono esiziali per un sistema di Paese. E allora viene il dubbio del perché mai Beppe Grillo da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra si vadano occupando, con forza e caparbietà, di legge elettorale e presidenzialismo mentre il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, terzo lato di questo triangolo amoroso post europee, abbia rispolverato il totem della semplificazione burocratica adombrando lo spauracchio del taglio delle tasse. Grillo e Berlusconi fuori dal mondo e Renzi in continua campagna elettorale? Magari fosse così. Sarebbe tutto maledettamente semplice da decifrare e da codificare. Un po’ come avveniva con i governi democristiani, nel pieno del regno Dc, quando la politica poteva permettersi di procedere lenta e senza troppi sussulti. Il nuovo millennio impone rapidità di esecuzione e un aggiornamento costante delle proposte. E così sta avvenendo nel rettangolo di gioco della politica di casa nostra. Renzi, pur avendo il timone in mano, gioca su riforme e fisco, avendo già calato gli assi della riforma del Senato e del piano per il lavoro. Non potendo alzare ulteriormente l’asticella deve interpretare il momento con quello che ha a disposizione.  E proprio per evitare che il premier possa dar vita ad una fuga in solitaria, come i grandi scalatori al Giro d’Italia quando arrivano le salite, Grillo ha deciso di attaccarsi alla legge elettorale, consapevole del fatto che l’Italicum è morto, mentre Pd e Forza Italia sono alla finestra. Il patto del Nazzareno fra il premier e il leader azzurro odora già di muffa e nessuno dei due partiti vuol concedere un vantaggio all’avversario. Per il Movimento 5 Stelle il dibattito sulla legge elettorale, in realtà, rappresenta il cavallo di Troia per tentare di entrare nelle difese del Pd e far uscire allo scoperto Berlusconi.  Stando a quanto proposto dai grillini, sia di prima che di seconda fascia, il tema è del tutto strumentale e serve a far capire al Pd che i 5S sono pronti al dialogo nel caso in cui ottenessero quel riconoscimento politico che cercano dopo il clamoroso flop delle europee. Insomma, dialogare per non morire sembra essere il nuovo mantra di Grillo. Difficile capire dove porterà questa strategia, dato che l’elettorato grillino è strutturalmente allergico alle dinamiche di Palazzo. Ma dovendo fare di necessità virtù, Grillo ha deciso di guardare oltre lo steccato della rete, guardando in faccia la realtà.  Il leader di Forza Italia, dal canto suo, temendo tanto Renzi quanto Grillo, ha riesumato il vecchio cavallo di battaglia del presidenzialismo – ovvero l’elezione diretta del capo dello Stato – particolarmente caro all’elettorato cosiddetto moderato, che va da Forza Italia al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Tanto che non è affatto un caso se sul tema i due vecchi amici si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata. Un segnale politico che dalle parti del Pd è stato decifrato come prove di riunione, in vista delle prossime elezioni, qualunque esse siano. Insomma, ognuno mostra il meglio dell’argenteria di cui dispone. Anche se non sempre l’effetto è quello sperato.  All’apertura di Grillo sulla legge elettorale Renzi ha risposto come un giocatore di Poker: “vedo”. Che vuol dire “facciamo sul serio”.  Insomma la questione è intricata, tanto che Matteo, per vederci chiaro, ha voluto anche ascoltare il parere di uno che di politica vecchio stampo ci capisce eccome: il presidente della Repubblica. Ieri mattina, così, il Premier è salito al Quirinale. Possibile pensare che Napolitano abbia invitato il presidente del Consiglio a stare in campana. Ma alla fine ha dato il suo placet all’accordo, perché per Napolitano sulle riforme non si scherza. E Berlusconi che fa? Avendo l’esigenza di non uscire dal radar della vetrina politica l’ex cavaliere domani  presenterà l’iniziativa legislativa e popolare per la riforma costituzionale dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. E non è detto che sia l’occasione giusta per scoprire anche le sue di carte, dato che la partita  da giocare è lunga e difficile.