Le intercettazioni diventano un incubo per D’Alema. Il lider maximo vuole mettere il bavaglio alla stampa e ora minaccia querele a chi associa il suo nome all’inchiesta di Ischia

Alla rabbia di Massimo D’Alema per il trattamento ricevuto dalle toghe e dalla stampa, per una volta, fa da contrappasso l’insolito invito alla calma dell’Associazione nazionale magistrati. Il che la dice lunga sullo stato dell’arte, tanto del Paese quanto della politica. “Fermare l’attenzione sui fatti gravi di corruzione che stanno emergendo, non sulle polemiche”, è l’invito che l’Anm ha rivolto alla stampa, rispetto alle critiche di D’Alema sull’uso delle intercettazioni nell’inchiesta sulle tangenti a Ischia. La riservatezza “va tutelata”, ma “non si mettano in discussione le intercettazioni come strumento di indagine”.

RAPPORTI INCRINATI
Insomma, labile dell’ex presidente del Consiglio, rottamato da Renzi, non può mettere a rischio i già delicati rapporti fra le toghe e le l’esecutivo. Ecco, se il lider maximo voleva davvero mettersi fuori gioco, stavolta c’è riuscito perfettamente. Dall’intervista al Corriere in cui si dice “indignato” dopo che il suo nome è apparso nelle carte dell’inchiesta sulle presunte mazzette di Ischia, fino alla lite con il giornalista di “Virus” che a Bari gli chiedeva se non fosse “inopportuno mischiare una convention del Pd con una vendita di 2000 bottiglie di vino”, il crollo è stato pressoché vermicolare. La doppia reazione di D’Alema alle domande sulle intercettazioni che lo vedono protagonista è davvero il segno che qualcosa si è rotto. D’accordo, denuncerà tutti, “organi di stampa, televisioni e radio, singoli giornalisti”, ma la cura rischia di essere peggiore del male. Nel mirino di D’Alema ci sono tutti quelli che “si sono esercitati a dire cose false e palesemente diffamatorie” nei suoi confronti. Li vuole “denunciare”, querelare, subito. Certo, è indignato e amareggiato: la possibilità che qualcuno pensi che si sia potuto vendere “per duemila bottiglie di vino” è una cosa non solo “bizzarra” ma “francamente offensiva”. Soprattutto laddove “c’è un sindaco”, ricorda in una lunga e travagliata conferenza stampa a Bari, caratterizzata da un duro scontro verbale con un giornalista di Rai 2, “che viene accusato di avere avuto un tangente, non so se sia vero, di 320mila euro”.

LE INDAGINI
Insomma, c’è una palese sproporzione, dice, tra il clamore suscitato dalle intercettazioni di una persona non indagata e i fatti oggetto dell’indagine. Questione che chiama in causa l’utilizzo delle intercettazioni di persone non indagate che “vengono chiamate in causa per vicende cui sono del tutto estranee, con evidente esclusivo scopo di promuovere delle campagne diffamatorie” o per suscitare clamore attorno ad inchieste che altrimenti non finirebbero sulle prime pagine dei giornali. E visto che “il buon senso sembra non essere sufficiente ad arginare una campagna scandalistica che produce danni”, non gli resta che affidarsi alle carte bollate per tutelare la sua onorabilità. Un tema caldo, quello dell’irascibilità di D’Alema, su cui si scatena la bagarre politica. Tagliente Giovanni Toti: “le intercettazioni usate a sproposito fanno male alla giustizia? D’Alema poteva accorgersene prima”. Già, ma prima non c’era Renzi, e non c’era la rottamazione e il governo di Matteo…