Le lobby del gioco vincono sempre

di Clemente Pistilli

Neppure le condanne costringono la Snai a mettere mano al portafogli. Gli inquirenti descrivono maxi perdite per lo Stato, chiedono risarcimento stratosferici alla società di scommesse e poi tutto alla fine si conclude con quattro spicci. Non poteva essere altrimenti per i conti relativi alla gestione del gioco che la spa di Lucca non ha presentato alla Corte dei Conti. La multa per l’azienda è arrivata solo ora, con l’appello, ma, davanti a una richiesta di oltre 160 milioni di euro fatta dalla Procura, i giudici hanno ritenuto che la partita si potesse chiudere con il pagamento di appena cinquemila euro.

Controllo contestato
Alla Snai, che in 24 anni ha allargato il proprio giro d’affari dall’ippica a ogni tipo di scommessa, diventando un colosso di quell’industria del gioco inquadrata come la quinta industria italiana, il controllo della Corte dei Conti non sembra proprio andare giù. La società in passato non ha presentato i cosiddetti conti giudiziali, quelli che chi maneggia denaro pubblico deve presentare alla Corte dei Conti, per garantire verifiche su tutte le movimentazioni. Nel 2006 la Procura contabile del Lazio ha così presentato un’istanza ai giudici, insistendo su quei documenti relativi alla gestione delle giocate dal 2004 in poi. Dopo due anni i magistrati hanno deciso e ordinato alla spa di depositare i conti, specificando appunto gli introiti derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, entro 120 giorni. Niente da fare. Per tutta risposta la Snai ha sostenuto di non essere un agente contabile, quelli che si occupano appunto di denaro pubblico, e quindi di non dover presentare nulla alla Corte dei Conti. Per la società erano sufficienti le rendicontazioni fatte ai Monopoli che le hanno dato la concessione. Inutile anche la citazione a giudizio, con la richiesta di condannare l’azienda a una multa di oltre 160 milioni e a far redigere quei conti ad altri, addebitando poi le spese alla società. Snai l’ha spuntata davanti ai giudici della sezione giurisdizionale del Lazio. La Procura non ha mollato e alla fine è riuscita a far valere le sue ragioni in appello.

Solo un buffetto
I giudici di secondo grado hanno stabilito che quei conti erano dovuti, hanno preso atto che quando hanno iniziato a spulciarli gli inquirenti vi hanno trovato anche tutta una serie di elementi affatto chiari, che la società aveva avuto nella vicenda una colpa grave. Quando si è trattato di quantificare la multa, però, i magistrati hanno ritenuto sufficiente condannare la Snai a risarcire appena cinquemila euro. Tutti calcoli fatti in base a un regio decreto del 1934. Poco imposta che l’Italia non ricorda quasi più cosa sia la monarchia. Le leggi sabaude sembra vadano ancora bene anche per la Repubblica. Reggono al terzo millennio.

L’altro pasticcio
Non è poi la prima volta che la montagna partorisce il topolino. Alla Snai e ad altre nove concessionarie, sempre la Procura contabile, aveva chiesto di risarcire al Ministero dell’economia 98 miliardi, sostenendo che le slot erano scollegate dal sistema centrale e in tal modo le concessionarie avevano evitato di versare allo Stato la percentuale dovuta di incassi. Le dieci società alla fine, nel 2012, vennero condannate a pagare 2,5 miliardi, in autunno il Governo Letta ha ridotto la pretesa a 600 milioni e ne sono rientrati solo 230, tra cui 42 proprio dalla Snai, che con questa sorta di patteggiamento attende, il 31 gennaio prossimo, di vedersi cancellare il giudizio, uscendo così dall’intera vicenda senza macchia. Per non parlare della multa da 1,8 milioni per le troppe slot piazzate nei locali italiani, impugnata al Tar dalla società di Lucca, e dello sconto ottenuto dalla stessa dalla Consulta, sul minimo garantito per le scommesse ippiche. Sbaglierà pure la Snai, ma sembra che quando deve pagare può stare tranquilla. Solo spiccioli.