Le pressioni di De Benedetti per imporre i ministri

dal Giornale

Ma all’interno di questo ginepraio, c’è un rebus ancora più intricato: quello che riguarda la casella dell’Economia. Una selezione segnata da diversi rifiuti, alla quale ora si aggiunge il «caso Barca». L’ex ministro per la Coesione incappa in una trappola della Zanzara. Durante una telefonata con un finto Nichi Vendola, si lascia andare a uno sfogo nel quale mette nel mirino le pressioni che starebbero piovendo su di lui da parte del gruppo De Benedetti.
«Non amo gli assalti. Sono sotto pressione, Nichi. Ma io non ci penso proprio a entrare al governo». «Ho parlato con Graziano (Delrio, ndr) e pensavo 48 ore fa di averla stoppata questa cosa. Se fallisce anche questa è un disastro, però non possono pretendere che le persone facciano violenza ai propri metodi, pensieri, cultura. Poi è iniziata la sarabanda del paron di Repubblica che continua. Lui non si rende conto che io più vedo un imprenditore dietro un’operazione politica, più ho conferma di tutte le mie preoccupazioni». «Ma di chi parli?», chiede il finto Vendola: «Del padrone di Repubblica, con un forcing diretto di sms, attraverso un suo giornalista, con una cosa che hanno lanciato sul sito – chi vorresti come ministro dell’Economia? – dove ho metà dei consensi. Questo è il modo di forzare, di scegliere, di discutere. Non una volta chiedendomi: ma se lo fai cosa fai? Se io dico che voglio fare una patrimoniale da 400 miliardi, cosa che secondo me va fatta, tu cosa rispondi? Mi dici che va bene?». «Nichi c’è un livello di avventurismo. Non essendoci un’idea, siamo agli slogan. Questo mi rattrista, sto male, sono preoccupatissimo perché lo sfarinamento è impressionante». Dunque hai rifiutato? «Ho rifiutato secco. Attraverso la Annunziata mi è arrivato un messaggio: ma se ti chiama il presidente? Ho dovuto mandare un sms: vi prego di non farmi arrivare nessuna telefonata. E poi in tutto questo io dovrei essere quello tuo… e ovviamente c’è pure la copertura a sinistra. Sono fuori di testa!». Ma Matteo ti ha detto qualcosa?: «No. Tutto questo non capendo neanche le persone. Se mi chiami, ci vediamo mezz’ora, ti do qualche consiglio. Invece tutto attraverso terzi, quarti, quinti, un imprenditore». Carlo De Benedetti, però, interviene per smentire. «Conosco e stimo Barca. Ma non lo vedo, non lo sento e non ci scambiamo messaggi da tempo. Non capisco da chi abbia ricevuto queste presunte pressioni a fare il ministro, certamente non da me». Anche l’Annunziata corre ai ripari: «Presidente? Parlavo di Napolitano».
Al netto del caso Barca, Renzi continua a cercare un jolly che possa coniugare immagine, esperienza e buoni rapporti europei. Il pressing su Lucrezia Reichlin resta forte, nonostante la docente alla London Business School abbia dichiarato di non essere disposta a derogare ai parametri europei. Restano in corsa Franco Bassanini, Linda Lanzillotta, Franco Bernabè, Romano Prodi e addirittura Giuliano Amato. E qualcuno ipotizza perfino un ritorno di Fabrizio Saccomanni. Per lo Sviluppo Economico Renzi pensa a Luca di Montezemolo o Mauro Moretti mentre Tito Boeri potrebbe guidare un pool di economisti incaricato di fornire idee per il programma. Alla voce «rifiuti» si aggiunge quello di Oscar Farinetti: «Devo lavorare. Io faccio impresa, a ognuno il suo mestiere». Per il resto bisognerà scegliere per il Viminale tra Angelino Alfano e Dario Franceschini. Per la Giustizia in pole Livia Pomodoro e Guido Calvi mentre per Andrea Romano si profila un incarico da viceministro degli Esteri.

Il Giornale mette il dito nella piaga: De Benedetti vuole scegliersi
certi ministri per salvare la Sorgenia del figlio con i soldi pubblici

di Marcello Zacché per Il Giornale

Una Bad Bank dell’energia, con 12.500 MegaWatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di sovvenzioni e togliere una fetta di capacità produttiva dal mercato.Potrebbe essere questa la prima «soluzione di sistema» del futuro esecutivo Renzi se si concretizzasse un progetto che sta muovendo i primi passi nei colloqui riservati tra la politica, i grandi manager dell’energia e le banche. Su un asse che va da Giuliano Pisapia a Giovanni Bazoli, passando dalla Cir dei De Benedetti.
Lo spunto è quello di mettere in sicurezza una fetta di sistema industriale in difficoltà, quello delle centrali elettriche a ciclo combinato, cioè a gas. Penalizzate due volte dalla crisi perché pagano doppio il prezzo del crollo della domanda: da un lato hanno i costi elevati del prezzo del gas, dall’altro la loro operatività è ridotta all’osso a causa della priorità del dispacciamento assicurata alle centrali da fonti rinnovabili.

Il risultato è che tutti gli investimenti effettuati fino a 4-5 anni fa per costruire moderne centrali oggi sono al massimo del costo con il minimo del mercato. L’incubo di ogni manager. Tra queste ci sono quelle di Sorgenia, gruppo Cir-De Benedetti, alle prese con un debito consolidato di 1,8 miliardi diventato ingestibile. Con le grandi banche del Paese (Mps davanti a Intesa, Unicredit e Mediobanca) assai preoccupate. E per questo molto attive nel pensare a possibili soluzioni.
Il progetto prevede la creazione di una sorta di «Bad Company» elettrica partendo da Edipower, società controllata da A2A, ma partecipata al 12% dalle banche, e dalle centrali a gas direttamente di A2A. Alla società controllata dai sindaci di Milano e Brescia, entrambi di area Pd, fanno capo circa 6mila MW di capacità termoelettrica. Nonostante i buoni numeri del gruppo, il «termo» costa ed è una spina nel fianco per i motivi di cui sopra.
Per questo ci sarebbero stati contatti riservati tra il management di A2A, guidato dall’ad Renato Ravanelli, sia con E.ON, sia con Sorgenia, sia con le banche per sondare la fattibilità di un progetto a due o a tre. I tedeschi di E.ON (3.300 MWatt termo) hanno annunciato di voler lasciare l’Italia; i problemi di Sorgenia (3.200 MW) sono quelli noti. Le banche, a partire da Intesa Sanpaolo presieduta da Bazoli, seguirebbero il progetto con interesse, pronte a lavorarci su.

L’idea è quella di fare massa critica per creare un gruppo che offra al sistema nazionale una capacità di «riserva»: quando le rinnovabili non bastano, entra in funzione la Bad Company. Che così, visto il ruolo di «servizio» al Paese, può chiedere allo Stato il capacity payment, vale a dire quella sovvenzione a fronte della disponibilità di capacità. Il valore? È stimato tra 10 e 20mila euro al MW.

Dunque un impegno pubblico da 200-250mila euro. Che però andrebbe esteso anche al rimanente termoelettrico italiano (Enel, Edison, Iren, Gdf, per almeno altri 25mila MW) per un totale di 7-800 milioni. Le sovvenzioni permetterebbero alle centrali di colmare il gap oggi esistente tra il rendimento (oggi al 4-5%) e il costo del capitale (7-8%). Così le banche potrebbero gestire meglio il rientro dei crediti. Il progetto sarebbe per ora solo sulla carta. Tanto che sia A2A, sia Intesa, contattate in proposito, negano l’esistenza di trattative o di dossier sul tavolo.

Il problema da risolvere è quello dei soci. L’idea è coinvolgere, al fianco di Comuni e privati, proprio le banche, attraverso la trasformazione in equity di parte dei crediti in essere con il sistema. E in seconda battuta il fondo strategico della Cdp. Quest’ultima, avendo il controllo della distribuzione tramite Terna, non può avere quote in società di produzione. Ma lo schema del capacity payment renderebbe questa «genco di servizio» una società «regolata», togliendo dal mercato libero le centrali ed eliminando il conflitto tra generazione e distribuzione.