Le ville restano sotto sequestro. Altro schiaffo ai fiscalisti della Lega. Per i pm le case sono state pagate con soldi pubblici

Per Michele Scillieri erano “due belle ville sul lago” di Garda mentre per la Procura di Milano sono una prova decisiva nell’ambito dell’inchiesta sulla compravendita gonfiata dell’immobile di Cormano nel milanese. Una tesi che ieri ha trovato un’ulteriore conferma nella decisione del Tribunale del Riesame che ha rigettato l’istanza di dissequestro degli immobili, a cui sono stati apposti i sigilli lo scorso 16 ottobre, presentata dai di Alberto Di Rubba (nella foto) e Andrea Manzoni, ossia i due revisori contabili della Lega finiti ai domiciliari nell’inchiesta del procuratore aggiunto di Milano Eugenio Fusco e del pubblico ministero Stefano Civardi sul caso della Lombardia film commission.

GIRO DI DENARO. Proprio dalle indagini della Procura, diretta dal procuratore Francesco Greco, le due lussuose abitazioni del valore complessivo di 640mila euro sarebbero state comprate col profitto del reato di peculato contestato nell’inchiesta. In un’informativa del 28 maggio scorso gli inquirenti hanno ricostruito i vari passaggi di denaro con la prima acquisizione al Green Residence Sirmione di una Bouganville al prezzo di 310mila euro, perfezionata il 21 dicembre 2017, e la seconda del 30 marzo 2018 quando la società Taaac acquista l’immobile Tigli per 330mila euro. Un’ipotesi investigativa che ha convinto il gip di Milano, Giulio Fanales, secondo il quale l’unico obiettivo dell’acquisto delle due villette è relativo “al reinvestimento del profitto proveniente dal peculato”. Secondo l’accusa il denaro arrivato dal Pirellone e affidato all’ente per la promozione cinematografica della regione, guidato nel 2017 proprio da Di Rubba, arriva prima ad Andromeda, una srl legata a Scillieri ossia l’altro commercialista finito nell’inchiesta, e dopo un lungo giro di bonifici finisce alla Taaac di Di Rubba e Manzoni che, almeno in teoria, doveva occuparsi di investimenti immobiliari.

OPERAZIONI SOSPETTE. Come messo nero su bianco dal gip Fanales, però, “l’analisi del materiale istruttorio offre plurimi elementi dotati di forte valenza indiziaria nel senso di interpretare la complessa architettura societaria utilizzata, come mero strumento volto al drenaggio delle risorse pubbliche”. Nel dettaglio, infatti, per l’accusa “la Taaac veniva costituita soltanto in funzione di quell’operazione commerciale complessiva, rappresentata dall’acquisto dei due immobili in questione, in ciò esaurendosi dunque la sua stessa ragion d’essere” come testimonia anche il fatto che la società Taaac “difetta di risorse finanziarie proprie” e “difetta di ogni fattore di produzione”. In altre parole più che un’azienda, almeno all’occhio dei pm, la Taac appariva come un contenitore vuoto creato al solo scopo di comprare le due villette sul lago di Como con denaro che, in parte, veniva dai fondi pubblici erogati dalla Regione Lombardia a Lombardia film commission.

Nello stesso atto, inoltre, il giudice ribadiva anche l’ipotesi della Procura secondo cui l’intera operazione immobiliare relativa all’acquisto del capannone di Cormano “risultava priva di una reale giustificazione economica, manifestandosi viceversa quale schermo giuridico dietro il quale occultare l’unico intendimento perseguito, ossia la distrazione del fondo erogato dall’ente pubblico”, cioè Lombardia film commission, “a favore dell’allora presidente Di Rubba e dei suoi complici, fra i quali in primo luogo Manzoni”.