L’edilizia scolastica è un terremoto. In 15 anni mai partiti 637 cantieri. A causa di enti inutili, norme confuse e mancanza di trasparenza

La Corte dei conti punta il dito contro la burocrazia per un'edilizia scolastica ridotta sempre peggio

Nonostante i tanti programmi di intervento che si sono succeduti nel corso degli anni, le nostre scuole restano insicure. A certificarlo, ora, è anche la Corte dei conti. I magistrati contabili hanno appena pubblicato una dettagliata relazione sul “Piano staordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici nelle zone a rischio sismico” e il quadro che ne esce non è certo lusinghiero. Il progetto nasce nel 2002 sulla scia della commozione e della rabbia dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, in cui proprio il crollo di un edificio scolastico causò la morte di 27 bambini e della loro maestra. Da allora a ogni pié sospinto si è parlato della necessità di interventi. Ed ecco allora che la Corte ha analizzato “la gestione delle risorse e lo stato di attuazione del Piano straordinario, più volte modificato e integrato”. Qual è, dunque, la situazione ad oggi? A distanza di oltre 15 anni dalla legge istitutiva, a fronte di 2.645 interventi complessivamente programmati, ne risultano avviati ma non conclusi ancora 1.945. Non solo: 637 non sono mai neanche partiti. Il 25%. In pratica, un cantiere ogni quattro non è mai stato aperto. E così gli interventi ultimati sono pari a 1.617, pari al 61%. Un po’ pochini dopo 15 anni. Un fallimento colossale. Ma non è tutto. La Corte, infatti, parla anche di “inadeguato finanziamento”. A fronte di una stima elaborata dal ministero delle Infrastrutture (e peraltro, sottolineano i magistrati, assolutamente inaffidabile) che parlava di un fabbisogno pari a 13 miliardi di euro, a causa di tagli, rimodulazioni, sovrapposizioni di enti vari, lo stanziamento effettivamente predisposto è stato molto più sottile: 193,88 milioni per il Primo programma stralcio, cui ne è seguito un Secondo (295,2 milioni) e un Terzo (111,8 millioni). Per un totale di 600,88 milioni, “corrispondenti al 15 per cento del fabbisogno originariamente stimato”.

Caos istituzionale – È evidente, dunque, che più di qualcosa non sia andato come avrebbe dovuto. Inevitabile chiedersi quali siano le ragioni. E, su questo aspetto, i dubbi dei magistrati contabili sono pressoché inesistenti. La relazione, infatti, evidenzia che “la materia della messa in sicurezza degli edifici scolastici è prevista da una pluralità di norme tra loro sovrapposte”. Che alla fine hanno creato un caos assoluto. Ci sono stati casi, addirittura, in cui lo stesso edificio ha goduto di più finanziamenti a causa dei vari soggetti chiamati a pronunciarsi sulla questione, tra ministero dell’Istruzione, Infrastrutture, Regioni, enti locali e Cipe. E, nel momento di fornire dati e documenti, pochi l’hanno fatto. L’unico a rispondere sullo stato di avanzamento dei lavori è stato il ministero delle Infrastrutture, nonostante la legge obblighi anche quello dell’Istruzione ad avere tali rendicontazioni. Chiara la posizione della Corte: “Risulta grave che il Miur non abbia contezza dello stato di avanzamento”.

Nord sì, sud no – Ma nel caos totale spunta anche un giallo inquietante. Nel 2010 e 2011 (Governo Berlusconi, Centrodestra) accade qualcosa di sconvolgente: il Parlamento sposta arbitrariamente i finanziamenti da una Regione all’altra. In Abruzzo, ad esempio, si passa dai 10,5 milioni stanziati nel 2010 ai 55mila rimodulati nel 2011. Lo stesso accade in Campania, Sicilia e Puglia. E, come d’incanto, in Lombardia si passa da 17 milioni a 35, in Liguria da 1,7 a 4,3, in Veneto da 7,2 a 10,6. Già allora non reggeva la storia di “Roma ladrona”.