Letta s’immagina di durare. Larghe intese senza vergogna

di Alessandro Ciancio

Giochi di prestigio a Caorle, dove ieri premier Enrico Letta è riuscito a ottenere due obiettivi distinti: riempire le sedie della platea della convention di Scelta Civica e farci credere per un attimo che il suo governo è destinato non solo a durare ma addirittura a lasciare un segno indelebile sugli assetti istituzionali del nostro Paese. Abilissimo nella specialità tutta democristiana del galleggiamento a oltranza, il presidente del Consiglio non ha nessuna intenzione di citare il Fabrizio De André che cantava «È stato meglio lasciarci piuttosto che non esserci mai incontrati». Invita anzi i suoi partner di maggioranza a «non vergognarsi delle larghe intese», rassicurandoli peraltro sul fatto che «nessuno sarà preso dal virus o sarà contagiato dall’altro, ma ciascuno di noi darà il proprio contributo». Facendo finta di non accorgersi di quanto sta accadendo nella Giunta per le elezioni del Senato, ha invocato «un salto di qualità nel lavoro di questa grande coalizione. Un salto che può e deve esserci soprattutto intorno alla scrittura di una Legge di stabilità che sia la scrittura di un percorso che inizia adesso e che è essenziale per riprendere sintonia con il Paese in una logica in cui questa coalizione non sia campo di battaglia. A volte ho l’impressione di essere un campo di battaglia su cui se le danno di santa ragione. Così non funziona, non si va da nessuna parte».

La giusta direzione
Sul dove andare, Letta ha invece le idee chiare: la direzione giusta è quella di «cambiare l’Italia e le sue istituzioni. Avere due Camere con gli stessi compiti e una legge elettorale che determina maggioranze diverse è una follia. Per questo è necessario il superamento del bipolarismo perfetto e la riforma di una legge elettorale che faccia eleggere la Camera che fa le leggi e dà la fiducia e che consenta ai cittadini di scegliersi il proprio parlamentare. La prima parte della Costituzione è la più bella del mondo, a differenza della seconda che va riformata. A partire dal Titolo V». Per intenderci, la parte che venne modificata a suo tempo per soli pochi voti di scarto dal centrosinistra, e che in effetti ha scardinato le finanze pubbliche creando in molti settori un insostenibile regime di concorrenza tra Stato centrale e Regioni. Ma Letta questo non l’ha detto, preferendo invece evocare l’ostruzionismo grillino sulla modifica del meccanismo di riforma della Costituzione. I pentastellati non sono mai stati direttamente nominati, ma è ai presenti è stato facile capire chi siano quelli che pensano che «stiamo sfasciando la Costituzione. Quando sento critiche di un certo tipo penso che qualcuno preferisce che l’Italia resti così».

Replica al rottamatore
Poteva mancare a questo punto anche una stoccata a Matteo Renzi, suo diretto competitor nel ruolo di prossimo candidato del centrosinistra alla premiership? Ovviamente no. L’intervento di Caorle è stato infatti la prima occasione utile per replicare al sindaco di Firenze, che l’altro giorno, seduto sulla poltroncina di “Porta a Porta”, lo aveva decritto come un uomo attaccato alla sedia. Le parole del rottamatore (sulle quali è tornato ieri anche Bersani, bollandole come «ingenerose») non erano passate inosservate dalle parti di Palazzo Chigi e i segnali di irritazione per quelle uscite erano arrivati forti e chiari. «Se c’è una cosa che detesto – ha detto Letta – è la politica fatta a battute che in questo periodo, invece, trionfa. La vita delle persone non la si risolve a battute, ma con i provvedimenti giusti, che hanno bisogno di approfondimenti». Come quelli che ha promesso di adottare in difesa delle famiglie dei lavoratori dell’Ilva. Quindi un altro annuncio: «La riforma del finanziamento pubblico ai partiti – ha detto – è fondamentale per dare trasparenza al rapporto fra la politica e i cittadini. Il suo superamento dev’essere nell’ordine delle cose e la settimana prossima un passaggio importante avvenga alla Camera». E a molti è sembrato l’ennesimo gioco di prestigio.