Le trattative tra Unione europea e Stati Uniti entrano nella fase decisiva con il 9 luglio ormai alle porte. Bruxelles spinge per un’intesa e punta a un “accordo di principio”, ma – come ha avvertito la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – resta aperta “ogni opzione” se l’intesa non dovesse arrivare.
Il commissario al Commercio Maroš Šefčovič è a Washington per una serie di incontri con i negoziatori americani: il segretario al Tesoro Scott Bessent, quello al Commercio Howard Lutnick e l’ambasciatore Jamieson Greer. L’atmosfera, però, resta incerta.
“Ho incontrato la mia controparte europea. Non posso precedere il presidente: la decisione è di Donald Trump. Vedremo cosa si può fare”, ha detto Bessent alla CNBC. E ha aggiunto che Greer “lavorerà diligentemente tutto il fine settimana” sul dossier europeo. Poi ha chiuso il discorso con un secco: “Vedremo”.
Bruxelles arresa ai dazi al 10% ma spera le abbassino quelli su alluminio e auto
Secondo indiscrezioni, Bruxelles sarebbe pronta ad accettare dazi americani del 10% e ad aumentare gli acquisti di prodotti made in Usa per ridurre il deficit commerciale. In cambio chiede esenzioni o tagli su dazi oggi al 50% per l’alluminio e al 25% su auto e componentistica. Il negoziato è delicato: pressioni, concessioni, minacce di ritorsioni. Un equilibrio sottile che mette in tensione i rapporti transatlantici.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla apertamente di “braccio di ferro”, ma si dice ottimista: “Lo voglio essere anche perché credo che si debba poi arrivare a un grande mercato a tariffe zero che comprenda Europa, Canada, Stati Uniti e Messico”.
Più cauto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha ammesso: “Se si tira troppo per le lunghe, si producono danni. Per questo avevo caldeggiato un compromesso onorevole che mettesse da subito fine all’incertezza che permane e forse permarrà anche la prossima settimana”. E ha definito il calo del dollaro sui mercati una forma di “dazio implicito” che già grava su beni e paesi.
Pressing per chiudere il prima possibile
Anche le grandi aziende europee premono per chiudere l’accordo: da Mercedes a LVMH, alcuni dirigenti hanno avuto contatti riservati con funzionari statunitensi per evitare un’escalation commerciale. Secondo Bloomberg, si sarebbero mossi anche per chiedere a Bruxelles di rimuovere beni simbolici Usa – come il bourbon – dalla lista dei prodotti da colpire in caso di ritorsioni.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha sostenuto la necessità di trovare un’intesa “il più rapidamente possibile” e con dazi “più bassi possibile”. Ma lo spettro di nuovi dazi reciproci, già annunciati da Trump per il dopo 9 luglio, resta dietro l’angolo.
L’Unione Europea non è l’unico partner con cui Washington è in trattativa. Con l’India un’intesa di massima è vicina, con il Vietnam è stato già definito un accordo con dazi al 20%. Il caso più complesso resta il Giappone: Trump ha minacciato tariffe al “30%, 35% o a quanto decideremo”.
A complicare il quadro, le elezioni imminenti a Tokyo, che limitano la libertà d’azione del governo. “La politica giapponese è sotto forte pressione”, ha spiegato Bessent.
Mercati alla finestra
A osservare con attenzione c’è Wall Street, che spera in segnali positivi per archiviare il rischio di una guerra commerciale su scala globale. È ai mercati finanziari che Bessent ha indirizzato le sue parole più nette: “Gli Stati Uniti annunceranno gli accordi commerciali entro il 9 luglio”. Una promessa ripetuta più volte. Ma ormai, il tempo sta per scadere.