«La ZES unica ha generato un giro d’affari di quasi 27 miliardi». Lo scrive la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel messaggio inviato al Forum organizzato a Napoli da Il Mattino sul ruolo dell’Italia e del Mediterraneo. È il biglietto da visita della narrazione ufficiale: il Mezzogiorno come nuova frontiera della crescita, la ZES come moltiplicatore di ricchezza, l’occupazione che sfonda i record, gli Accordi di coesione che “attivano” miliardi. Il problema è che i numeri veri sono meno entusiasti e più testardi.
I conti della ZES e la realtà della spesa
La cifra dei “27 miliardi” non sta in un consuntivo pubblico: è una stima di impatto complessivo (diretto-indiretto-indotto) confezionata da consulenze e rilanciata da Palazzo Chigi. Nei conti, quelli che si pagano, il 2024 registra 2,551 miliardi di credito d’imposta riconosciuto per 6.885 domande. Per il 2025 le prenotazioni superano i 22 miliardi, ma il plafond effettivo è attorno ai 2,2-2,3 miliardi: significa overbooking, graduatorie, tagli. La Corte dei Conti, nel giudizio sul Piano strategico approvato solo a inizio 2025, parla di «potenzialità da consolidare» e di governance da irrobustire. È la distanza tra lo slogan del “giro d’affari” e la cassa disponibile.
C’è poi l’estensione dell’incentivo a Marche e Umbria, politicamente spendibile, economicamente ambigua: se le risorse non crescono in proporzione, l’intensità dell’aiuto nel perimetro storico del Mezzogiorno si diluisce. Infine, gli “oltre 45 miliardi” rivendicati sugli Accordi di coesione sono impegni amministrativi del Fondo sviluppo e coesione 2021-2027 (78,1 miliardi complessivi), non cantieri. I report MEF di aprile 2025 classificano molte linee “in fase iniziale”: significa che la spesa vera è ancora da costruire.
Sud: crescita congiunturale, divari strutturali
Meloni scrive che il Sud «non è più fanalino di coda ma locomotiva». È successo nel 2024, con un Pil meridionale leggermente sopra la media nazionale (+0,9% contro +0,7%) grazie alla spinta del PNRR. Ma le stime 2025 ribaltano il cartello: Sud più lento del Centro-Nord. La Banca d’Italia (QEF 951/2025) lo riassume con freddezza: produttività bassa, capitale per addetto insufficiente, infrastrutture materiali e digitali incomplete, credito più caro e selettivo. Senza una correzione di struttura, la convergenza non parte.
Sull’occupazione il record c’è: nel secondo trimestre 2025 il tasso 15-64 del Mezzogiorno supera per la prima volta il 50%. Manca però il resto della frase: la media italiana è al 62,6%, il divario resta di oltre dodici punti. Tra i 25-34 anni il tasso è 75,6% in Italia e 63,1% nel Sud; per le donne coetanee si resta poco sopra la metà. L’ISTAT certifica che nel 2024 la povertà assoluta colpisce il 10,5% delle famiglie meridionali (Nord 7,9%). E il drenaggio di capitale umano continua: in vent’anni più di 500 mila laureati hanno lasciato il Sud per il Centro-Nord o l’estero, con un saldo negativo che svuota competenze e futuro.
La qualità dello sviluppo è il punto cieco della propaganda. Crescere di Pil senza recuperare salari, produttività e servizi significa accumulare fragilità. Se il lavoro aggiuntivo è a bassa paga e bassa produttività, i divari sociali si incrostano. Se i servizi pubblici restano lenti, la competitività d’impresa evapora nei costi di contesto: giustizia, sanità, scuola, trasporti, logistica portuale. È qui che si misura l’effetto ZES nel tempo: non sul comunicato, ma sul salario netto, sull’investimento privato, sulla permanenza dei giovani qualificati.
Chi entra nelle pieghe dei numeri vede un’altra storia. La ZES unica consente semplificazioni e un credito d’imposta utile a spostare decisioni marginali d’investimento. Però la scala resta modesta rispetto al fabbisogno e alla domanda effettiva; l’allargamento geografico senza risorse aggiuntive fa aritmetica, non politica industriale. Gli Accordi di coesione “attivano” perché impegnano: fino a quando non diventano progetti esecutivi, cronoprogrammi, avanzamenti misurati, restano promesse con scadenza.
Il Mezzogiorno cresce quando lo Stato spinge e decelera quando la spinta finisce. Le stime Svimez e i quaderni di Bankitalia non sono editoriali dell’opposizione: sono diagnosi ripetute. Se Napoli ospita la celebrazione del “Sud locomotiva”, a Napoli bisognerebbe anche dire che le locomotive si valutano a fine corsa, non alla partenza. La differenza tra una stima e un risultato è tutta nei binari: spesa che diventa cantiere, cantiere che diventa produttività, produttività che diventa salario. Senza questa catena, i 27 miliardi restano un numero in cerca d’autore. E al Sud viene chiesto, ancora una volta, di credere a una convergenza che nei conti, per ora, non c’è.