L’inciucio non paga nell’urna. Vola il partito del non voto

di Lapo Mazzei

Forse ha ragione il vice premier Angelino Alfano quando evoca, senza  citarlo esplicitamente,  il fantasma dell’Election Day: “Nella gran parte dei Comuni dove si è votato, nel 2008 le Comunali si erano svolte insieme alle politiche e ciò potrebbe aver trascinato in su l’affluenza”. Può darsi. Ma l’accorpamento non può essere considerato la cura contro il mal da urna elettorale che sta affliggendo gli italiani. Il giorno unico  è solo e soltanto una modesto palliativo, capace di lenire momentaneamente il dolore, non di sconfiggere la malattia. Perché la forma virale dell’astensionismo, in realtà, ha radici più profonde ed ha bisogno di ben altre cure. Non ha caso il ministro dell’Interno ha ragione quando sostiene che “non c’è una sola chiave di lettura per spiegare l’astensione”.  No, non c’è. Ed è proprio in questa affermazione, degna di Massimo Catalano il filosofo dell’ovvio di “Quelli della notte” recentemente scomparso, che è concentrato il senso d’impotenza della politica, che da oggi,  deve fare i  conti con un vero partito: quello del non voto.  Che sarà pure un’entità astratta, con la stessa forma dell’acqua, ma che pesa sul corpo elettorale come un macigno. Secondo i dati del Viminale l’affluenza definitiva al voto per le elezioni comunali in Italia è stata del 62,38%. Il dato del ministero dell’Interno mette in evidenza un leggerissimo recupero sul dato dell’astensionismo che si era registrato alle 22 di domenica sera quando aveva votato  soltanto il 15,29% di elettori in meno rispetto alle precedenti elezioni comunali, mentre il calo definitivo registrato oggi una volta chiuse le urne è pari al 14,78%. Sul dato negativo  nazionale incide fortemente il risultato del voto a Roma. Nella Capitale, infatti, ha votato soltanto il 52,80%, con un calo del numero dei votanti pari al 20,86% degli elettori. In pratica un romano su due non è andato al seggio. Segno di un rifiuto generalizzato della politica, inconsistenza dei candidati, il vento dell’antipolitica che soffia come la bora a Trieste, o bocciatura di una intera classe dirigente che si crede tale solo perché occupa i palazzi del Potere? Forse un po’ tutte queste cose. Segno che nel frullatore dell’elettore disilluso questi elementi si sono perfettamente amalgamati, creando un pericoloso mix.

Il governo Frankestain
Le tanto decantate larghe intese, per esempio, che hanno partorito quel governo Frankenstein affidato alle cure del dottor Enrico Letta, escono sonoramente sconfitte dalle urne. L’elettore medio del Pd per una ragione e quello del Pdl per un’altra si sono sentiti traditi dal grande inciucio, che non hanno votato, che non hanno voluto, ma che hanno  subito. D’accordo, Berlusconi ha provato ad indorare la pillola con la storia dell’Imu mentre Letta, da democristiano Doc, ha giocato la carta politica del taglio al finanziamento pubblico  ai partiti. Ma si tratta, sia nell’uno che nell’altro caso, di specchietti per le allodole, di pannicelli caldi sulla fronte del malato. E poi c’è la questione dei candidati. Tanto a destra quanto a sinistra le scelte fatte dai partiti hanno offerto agli elettori il meno peggio. Non solo. Nel caso specifico di Roma appare chiaro che i romani hanno bocciato gli accordi sottobanco fatti dai principali candidati. E quanto mai evidente che  le strategie elettorali dei King maker di Gianni Alemanno e Ignazio Marino, rispettivamente Andrea Augello e Goffredo  Bettini, sono rimaste saldamente ancorate alle logiche di bottega e non di piazza.

Il partito trasversale
L’apparato ha prevalso sulla gente. E gli elettori hanno bocciato  questo grande inciucio Capitale non andando a votare.  Una voce più forte di coloro che hanno depositato la scheda, enorme quanto dannosa per gli elettori, nell’urna. E poi, inutile negarlo, c’è un partito trasversale, sia dal punto di vista politico che sociale (nel senso che abbraccia tutte le fasce), che non ne può più di questa “casta”, troppo ombelicale e proiettata verso il mantenimento dello status quo, che non sa nemmeno leggere i dati usciti dalle amministrative. Fabio Rampelli, deputato di Fratelli D’Italia – il mini partitino fondato da Giorgia Meloni solo per farsi rieleggere in Parlamento – sostiene che “Il crollo dell’affluenza alle urne dimostra che non sono efficaci l’eliminazione dell’indennità ai ministri, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la riforma elettorale con ritorno al Mattarellum. Sono trovate demagogiche che la gente percepisce nella loro inautenticità, false come il desiderio di facile riconquista di un consenso che si è esaurito proprio grazie alle continue bugie che i partiti tradizionali hanno raccontato per mantenere il potere”, sostiene l’esponente di Fdi. Secondo Rampelli occorre cedere ai cittadini il potere, in modo da “non dare soldi pubblici ai partiti che non fanno formazione, non riuniscono gli organi, non consentono la partecipazione”.