L’Incoerenza al potere, dal caso Idem a Bin Salman Giorgia continua a rinnegare sé stessa

Dalle accuse all'Europa ai patti con bin Salman: le due facce di Meloni raccontate dalle sue stesse contraddizioni

L’Incoerenza al potere, dal caso Idem a Bin Salman Giorgia continua a rinnegare sé stessa

Ieri mattina un giornalista di destra, uno che conta nella costruzione dell’egemonia culturale così cara a Giorgia Meloni, ha sbottato. “Ma se con Bin Salman dobbiamo fare affari perché ciò che conta è il bene dell’Italia allora perché non stringere accordi con Putin o chi altri?”. L’iperbole è evidente ma lo scontento pure. 

Esiste del resto una coerenza che non conosce compromessi: quella tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ed è qui, in questo terreno scivoloso, che Giorgia Meloni tradisce se stessa e chi l’ha sostenuta. Perché, se c’è una costante nella politica italiana, è che le parole vengono spesso barattate con la convenienza del momento. E il viaggio della Presidente del Consiglio ad Al-Ula, per stringere rapporti con Mohammed bin Salman, è l’esempio perfetto di questa ipocrisia.

Da Gedda ad Al-Ula: un viaggio tra le contraddizioni

Era il 2018 quando Meloni, allora all’opposizione, tuonava contro la decisione di disputare la Supercoppa Italiana in Arabia Saudita. “Uno Stato fondamentalista che non rispetta i diritti umani non può essere legittimato con eventi sportivi”, dichiarava, dipingendo il Regno saudita come un simbolo di ciò che l’Occidente avrebbe dovuto combattere. Non si trattava solo di una critica politica, ma di un atto d’accusa morale.

Eppure, il 26 gennaio 2025, Meloni stringeva mani ad Al-Ula e firmava accordi per 10 miliardi di dollari con lo stesso Bin Salman. Accordi che coprivano ogni settore strategico: difesa, energia, turismo, sport. Lo stesso sport che, pochi anni prima, aveva definito un “veicolo di propaganda” per legittimare un regime autoritario. Ora, però, tutto sembra lecito, purché ci siano miliardi in ballo.

Di fronte alle critiche, Meloni si è difesa: “Non c’è contraddizione tra quello che dicevo ieri e quello che faccio oggi. Un conto sono gli accordi strategici, un altro è la questione del proselitismo islamico in Europa”. Ma la linea di difesa suona come un goffo tentativo di sfuggire alla realtà: il pragmatismo economico ha prevalso sulla coerenza politica.

L’ombra di Jamal Khashoggi

Il punto più oscuro di questa vicenda resta l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Nel 2021, Meloni usava parole durissime contro Bin Salman, accusato dall’intelligence americana di essere il mandante dell’assassinio. In un tweet al vetriolo, invitava la sinistra italiana a svegliarsi e a smettere di tacere sugli “Stati fondamentalisti come l’Arabia Saudita”. Oggi, però, il nome di Khashoggi sembra essere sparito dal vocabolario politico della premier. Non una parola, non un cenno, durante la visita ufficiale.

Le altre contraddizioni di Meloni

La storia di Meloni è disseminata di scivoloni e inversioni di marcia. Prendiamo la questione delle accise sui carburanti. Prima delle elezioni, Meloni prometteva di “smantellare” le accise, definendole una tassa iniqua. Ma una volta al governo, il suo esecutivo non solo non le ha abolite, ma ha eliminato lo sconto introdotto dal governo precedente, facendo schizzare i prezzi alla pompa.

Un altro esempio è la gestione dei migranti. Durante la campagna elettorale, il blocco navale era il mantra che ripeteva a ogni comizio. Una soluzione netta, dura, in linea con la retorica sovranista. Ma i dati raccontano un’altra storia: nel 2023, gli sbarchi sono quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente. Non solo il blocco navale è rimasto un miraggio, ma il governo ha finito per gestire i flussi migratori in modo più caotico di quanto accusava di fare la sinistra.

Poi c’è l’Unione europea, prima regina di tutti i mali con Ursula von der Leyen indicata come leader del globalismo europeo. Oggi Meloni e von der Leyen navigano in un felice fidanzamento politico, officiato da Raffaele Fitto nel ruolo di vicepresidente della Commissione europea. 

Stesso discorso per la difesa (effimera) della ministra Daniela Santanchè. Nel giugno 2013, Giorgia Meloni, allora presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, chiese le dimissioni della ministra per le Pari Opportunità, Josefa Idem, coinvolta in una controversia riguardante il mancato pagamento dell’ICI per quattro anni e presunte irregolarità edilizie. Meloni dichiarò: “Le dimissioni da ministro di Josefa Idem sarebbero un gesto importante e significativo, nonché un forte segnale di rispetto verso le Istituzioni e quello che rappresentano”. Il rispetto per le istituzioni con Santanchè è diventato invece secondario. 

L’illusione della coerenza

Il tradimento più grave, però, non è quello verso le sue parole, ma verso i suoi elettori. Quelli che l’hanno scelta perché la consideravano diversa, autentica, capace di sfidare il sistema. Ma cosa rimane di quella Meloni? Una leader che, una volta arrivata al potere, si piega alle stesse logiche che criticava.

Ci si potrebbe chiedere se questa evoluzione sia inevitabile. Dopo tutto, la politica è fatta di compromessi. Ma quando i compromessi diventano sistematici, quando ogni promessa viene sacrificata sull’altare della convenienza, allora non si tratta più di politica, ma di cinismo. E gli elettori di destra amano i cinici con gli avversari, non i cinici con le promesse.