L’informazione spettacolo non è servizio pubblico. Pisicchio boccia questo infotainment: i talk sviliscono la televisione di Stato

Pino Pisicchio non arretra di un centimetro rispetto al via libera al nuovo regolamento sulla par condicio

“Non ho partecipato alla seduta della Vigilanza, ma qualora fossi stato presente avrei reiterato la mia posizione di sempre rispetto a questa categoria misteriosa di persone che cumulano la qualifica di giornalista con quella di showman. E, quantomeno, mi sarei astenuto”. Pino Pisicchio non arretra di un centimetro rispetto al via libera al nuovo regolamento sulla par condicio che consentirà alle trasmissioni di intrattenimento di ospitare esponenti politici durante la campagna elettorale.

Cos’è che non la convince di questo tipo di trasmissioni?

“Sono contrario all’infotainment, a questo modo di fare spettacolo e informazione al tempo stesso, immaginando che ciò rappresenti il nuovo orizzonte dell’informazione democratica”.

E nel nuovo regolamento cosa c’è che non va?

“E’ arrivato tardi. Occorreva muoversi prima, quando continuavo a chiedere di chiarire i confini di questo tipo di trasmissioni”.

Per esempio?

“Andrebbero evitati i malefici talk show, nei quali la politica diventa spettacolarizzazione e i contenuti della proposta e il ruolo della tv di Stato vengono sviliti”.

E quale dovrebbe essere secondo lei questo ruolo?

“Sviluppare un’informazione completa, seria, che renda possibile la formazione di un’opinione e che non strizzi l’occhio alle modalità con le quali le televisioni non di Stato, che non hanno questo obbligo, esercitano la comunicazione. Dobbiamo fare pedagogia democratica, mettere i cittadini in condizione di farsi un’opinione piena attingendo all’informazione e non dallo spettacolo”.

Resta il fatto che sulla par condicio le polemiche si ripetono ciclicamente.

“La par condicio è stata immaginata in una stagione sideralmente lontana. Oggi continuiamo ad utilizzare strumenti paleolitici rispetto al nuovo mondo. Serve una riflessione seria sulla ragione per la quale la tv di Stato ha diritto di esigere il canone. E questa ragione è che la tv di Stato deve dare un di più, rappresentato dall’informazione pluralista, piena e non viziata da altri elementi”.