Liste d’attesa bloccate e visite negate. L’illegalità nella sanità ormai è prassi

Le chiamano agende chiuse. Sono le liste d'attesa bloccate. In pratica, vai al Cup con la prescrizione e l’operatore non accetta la prenotazione.

Liste d’attesa bloccate e visite negate. L’illegalità nella sanità ormai è prassi

Le chiamano agende chiuse. Sono le liste d’attesa bloccate. In pratica, vai al Cup con la prescrizione del medico di famiglia per una visita specialistica o un esame diagnostico e l’operatore non accetta la prenotazione: il posto non c’è e il servizio non può essere garantito. Capita in tutte le regioni. E sempre di più, nonostante sia illegale. Una infrazione alla legge 266 del 2005. Poi ci sono le prestazioni erogate fuori tempo massimo, anche per le urgenze, che dovrebbero essere assicurate entro 72 ore. Succede che nemmeno le persone ammalate di tumore e sottoposte a follow up – vale a dire ai controlli periodici per seguire il decorso della malattia – vengano risparmiate.

Le chiamano agende chiuse. Sono le liste d’attesa bloccate. In pratica, vai al Cup con la prescrizione e l’operatore non accetta la prenotazione

“Una violazione del diritto costituzionale alla salute garantito dalla legge che ha istituito il servizio sanitario nazionale nel 1978 e dalle successive deliberazioni sui Lea, i Livelli essenziali di assistenza, approvate nel 2001 e nel 2017”, dice Andrea Viani, promotore degli Sportelli Sos Salute. Sportelli (i primi sono stati aperti a Lodi) oggi presenti in cinque province lombarde e a Piacenza, per un totale di 35 sedi già operative, in collaborazione con sindacati, associazioni di volontariato, Comuni. Nessuna struttura della sanità pubblica, uscita malconcia dalla pandemia e oggi avvitata in una crisi senza precedenti, è ormai indenne da liste d’attesa interminabili o chiuse. Eppure la normativa per far valere i propri diritti c’è, come dimostrano i circa 300 ricorsi individuali presentati in un anno in Lombardia e nel Piacentino.

Grazie all’assistenza degli sportelli, le direzioni generali delle Ats e delle Asst (le aziende sanitarie lombarde) sono state costrette quasi sempre a fare marcia indietro, assicurando le prestazioni entro i termini stabiliti dalla legge. Spesso in pochi giorni, a volte addirittura in poche ore. In alcuni casi il coordinamento degli sportelli si è spinto anche oltre. Ha presentato un ricorso collettivo e poi un esposto alla Procura della Repubblica di Lodi, al quale ne seguirà a breve un secondo, in dirittura d’arrivo: scelta inevitabile di fronte al silenzio dei vertici dell’Ats Città metropolitana di Milano a cui fa capo l’Asst di Lodi.

In assenza di riscontri, si passerà anche alla segnalazione ai carabinieri. Nei ricorsi presentati fino ad ora c’è di tutto. Tutto ciò che non funziona nel servizio sanitario nazionale. Visite specialistiche fissate dopo un anno. Agende chiuse. Persone operate per un tumore alle quali gli esami di controllo sono stati fissati dopo dodici mesi. E poi visite private in intramoenia – cioè in regime libero-professionale, all’interno dell’ospedale ma al di fuori dell’orario di servizio – pagate dai cittadini anziché dall’azienda sanitaria, a dispetto del decreto legislativo 124 del 1998 che obbliga la sanità pubblica a farsi carico della spesa (al netto del ticket) nel caso quest’ultima non riesca a ottemperare alle scadenze previste.

Violazioni continue pure sulle prestazioni urgenti. Ma ora c’è un modo per ottenere il rispetto dei diritti

“Nel tranello ci cadono ancora in molti – osserva Francesca Divella, segretaria organizzativa della Cgil di Lodi, che fa parte del coordinamento territoriale degli sportelli -. E non tutti sanno che il Cup deve verificare se è possibile prenotare in altri territori prima di indicare la possibilità di ricorrere al privato, con il costo comunque sostenuto dal servizio sanitario nazionale”. I tempi da rispettare sarebbero sempre quelli prescritti dalla normativa e indicati dal medico di famiglia. Oltre alle urgenze, le prestazioni da erogare entro dieci giorni, quelle differibili (entro 30 giorni se si tratta di una visita, entro 60 se si tratta di un esame diagnostico), quelle programmate (entro tre mesi). Tempi quasi sempre disattesi in tutta Italia.

“La logica è molto semplice – dice Viani -. Si usano le liste d’attesa per indurre i cittadini a rivolgersi a strutture private”. A nulla sono valsi i vari piani nazionali per abbatterle, a partire dal triennio 2019-2021, con uno stanziamento di 350 milioni. Né, per ora (grazie all’ultima manovra finanziaria), gli incrementi delle tariffe orarie riconosciute agli operatori sanitari per le prestazioni aggiuntive (con 280 milioni all’anno fino al 2026). Resta la piaga delle agende chiuse. Solo sei mesi fa i carabinieri dei Nas ne hanno scoperte in tutta Italia ben 196. E sono fioccate le denunce. Ma le sanzioni amministrative previste sono così irrisorie (da un minimo di mille a un massimo di 6 mila euro) da essere, di fatto, una pistola scarica.

E infatti da allora nulla è cambiato. Anzi, le Regioni trovano escamotage come le liste di galleggiamento, in base alle quali la prescrizione viene accettata ma il paziente viene messo in sospeso – a “galleggiare”, appunto – in una lista che corrisponde al codice di priorità, in attesa di essere contattato dall’azienda sanitaria. “Una modalità che abbiamo denunciato”, spiega Viani. La rete degli sportelli – che si sta dotando anche di un pool di avvocati – è destinata ad ampliarsi. Dapprima in altre province emiliane poi in altre regioni, dal Veneto al Piemonte, per arrivare all’Abruzzo. Presto potrebbe essere anche al Sud. I primi contatti, grazie ad associazioni di volontariato, sono già stati presi anche in Campania, Lazio e Sardegna.

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