A un anno dall’entrata in vigore del Decreto Legge 73/2024 sulle liste d’attesa, il bilancio è impietoso: sei decreti attuativi previsti, tre ancora mancanti, uno scaduto da nove mesi, due senza scadenze definite e zero benefici percepiti dai cittadini. Secondo l’analisi indipendente della Fondazione Gimbe, il “Dl Liste di attesa” si è impantanato nel solito cortocircuito istituzionale: l’urgenza proclamata dal Governo si è scontrata con l’inadeguatezza dei mezzi e dei tempi, trasformandosi nell’ennesima promessa annunciata e mai realizzata.
“Abbiamo voluto mappare lo stato reale di attuazione del Dl – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione – per separare la realtà dalla propaganda”. Una realtà che, come mostrano i dati Istat, nel 2024 ha visto quasi 6 milioni di persone rinunciare a visite o esami, di cui 4 milioni solo a causa dei tempi d’attesa. Un aumento del 51% rispetto all’anno precedente.
Il pantano dei decreti
Dei sei decreti attuativi previsti, solo tre sono stati pubblicati. Gli altri sono ancora al palo, ostaggio di contrasti istituzionali e tempi tecnici incompatibili con la natura urgente del provvedimento. Il più critico è quello sull’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dell’Organismo di verifica, scaduto il 31 agosto 2024 e ancora bloccato dal conflitto tra Governo e Regioni. Dopo mesi di accuse reciproche, il confronto tra Giorgia Meloni e il Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, sembrava aver sbloccato lo stallo, ma al 10 giugno l’intesa ancora non risulta formalizzata.
Anche i decreti senza scadenza sono scomparsi dai radar. Quello per superare il tetto di spesa del personale sanitario è fermo in attesa dell’approvazione della metodologia Agenas, mentre quello per ottimizzare il sistema di disdetta delle prenotazioni non risulta nemmeno calendarizzato. Un vuoto normativo che vanifica ogni velleità di riforma.
Una piattaforma che non c’è
Il cuore del decreto era la piattaforma nazionale delle liste di attesa, annunciata come strumento chiave per garantire trasparenza ed efficienza. Secondo il ministro Schillaci, sarebbe dovuta partire nel febbraio 2025, ma la sua approvazione è arrivata solo l’11 aprile, con mesi di ritardo. Le Regioni avevano 60 giorni per adeguarsi: la scadenza è appena passata, ma i dati non sono ancora disponibili.
Intanto, la presidente del Consiglio ha già celebrato l’efficacia della piattaforma in aula: “È operativa e fa calare i tempi d’attesa”. Ma i dati ufficiali che lo dimostrerebbero semplicemente non esistono. “Non c’è alcun dataset pubblico che attesti una riduzione delle liste d’attesa”, chiarisce Cartabellotta. “E ogni valutazione sull’efficacia del decreto è impossibile senza trasparenza”.
Un fenomeno in espansione
Nel frattempo, la rinuncia alle prestazioni sanitarie esplode in tutto il Paese: secondo Istat, il 9,9% della popolazione ha rinunciato almeno a una visita o a un esame nel 2024. Un dato in aumento dal 7% del 2022, con una crescita omogenea su tutto il territorio nazionale, Nord incluso. I motivi sono principalmente due: l’attesa insostenibile nel pubblico e l’impossibilità economica di accedere al privato.
Il 6,8% dei cittadini ha rinunciato per i lunghi tempi d’attesa (4 milioni di persone), il 5,3% per motivi economici (3,1 milioni). Dal 2022 al 2024, le rinunce per tempi d’attesa sono aumentate dell’88%, quelle per motivi economici del 65%. Un dato che sfida la narrativa dominante: non è solo povertà, è soprattutto l’inefficienza del sistema a generare esclusione.
Il tradimento dell’universalismo
”Il vero problema – osserva Cartabellotta – non è più solo il portafoglio, ma la capacità del SSN di rispondere ai bisogni”. Quando il pubblico non funziona, il privato diventa l’unica alternativa. Ma se non si hanno i mezzi per pagare, la cura diventa un lusso. È questo intreccio a rendere il fenomeno così drammatico: milioni di cittadini stanno subendo una concreta esclusione dal diritto alla salute.
Il Governo continua a parlare di monitoraggio e riforme in corso. Ma i dati dicono che la sanità pubblica affonda, e chi non può permettersi alternative è costretto a scegliere tra aspettare mesi o rinunciare del tutto. Non è solo una crisi organizzativa: è un fallimento politico e costituzionale.
Il DL Liste di attesa è oggi la metafora perfetta di un Paese che usa l’urgenza come copertura mediatica e abbandona i cittadini nelle corsie vuote. Senza personale, senza risorse e senza verità. Continuare a tamponare il sintomo – i tempi di attesa – senza curare la malattia – lo svuotamento del SSN – è accanimento terapeutico. Ed è una cura che, intanto, sta già uccidendo il diritto alla salute.