Giovani di periferia, tra povertà educativa e futuro negato: quando la geografia pesa sulle diseguaglianze

Dai dati Openpolis emerge un paese dove nascere in periferia decide scuola, lavoro e possibilità di uscita dalla marginalità

Giovani di periferia, tra povertà educativa e futuro negato: quando la geografia pesa sulle diseguaglianze

Crescere in Italia significa sempre più spesso crescere in periferia. Non solo per chi vive ai margini geografici delle città, ma per un’intera generazione che sperimenta condizioni di accesso diseguali all’istruzione, al lavoro, alle opportunità sociali. L’analisi di Openpolis sulla condizione dei giovani nelle periferie urbane restituisce un quadro netto: il luogo in cui nasci pesa ancora in modo decisivo sul tuo destino. E pesa di più se sei giovane.

Nel 2024 il 13,8% dei minori vive in povertà assoluta, una quota molto più alta della media nazionale. Nelle aree urbane la situazione si aggrava: il 16,1% delle famiglie con figli nei comuni centro di area metropolitana si trova in povertà assoluta. È qui che prende forma quella che gli studiosi definiscono “trappola della povertà educativa”, dove le difficoltà economiche limitano l’accesso a esperienze culturali, sociali ed educative, incidendo direttamente sui percorsi scolastici e sulle prospettive future.

La scuola come linea di frattura

Il primo terreno su cui la disuguaglianza diventa strutturale è la scuola. L’abbandono scolastico precoce tra i 18 e i 24 anni è sceso sotto il 10% a livello nazionale, ma resta più alto nelle città densamente popolate, dove sfiora l’11%. Ancora più insidiosa è la dispersione scolastica implicita: studenti che arrivano al diploma con competenze insufficienti. Nel 2025 questo fenomeno è tornato a crescere, segnalando che gli effetti della pandemia non sono stati assorbiti.

I dati sulle competenze mostrano una frattura netta. Tra gli studenti provenienti da famiglie con status socio-economico più basso, la dispersione implicita raggiunge quasi il doppio rispetto ai coetanei più avvantaggiati. In alcune regioni del Mezzogiorno la percentuale supera ampiamente il 10%, con punte che segnalano un ritardo strutturale che si consolida negli anni. È una frattura che si apre già alle medie e si allarga alle superiori, indirizzando i figli delle famiglie meno istruite verso percorsi più brevi e meno tutelanti.

All’interno delle stesse città convivono mondi opposti. Quartieri dove l’abbandono scolastico supera il 30% e altri in cui scende sotto il 5%. Le periferie diventano così spazi di concentrazione del rischio, anche in città che nel dato medio appaiono virtuose. È il caso di aree come Marghera, a Venezia: contesti segnati da disagio economico, inattività giovanile e uscita precoce dal sistema educativo, pur all’interno di comuni complessivamente meno fragili.

Dalla dispersione ai Neet

La scuola non è un capitolo isolato. Le carenze educative si riflettono direttamente sulla vita adulta. La quota di Neet, giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, resta altissima in molte città del Sud: oltre un terzo a Catania, quasi un terzo a Palermo e Napoli. Al Centro-Nord le percentuali scendono, ma non spariscono: anche nelle città considerate più dinamiche un giovane su cinque resta ai margini.

È un percorso che si ripete con regolarità: famiglie in difficoltà economica, scuole meno attrezzate come presidi sociali, maggior rischio di abbandono, ingresso nel mondo adulto segnato dall’inattività. La periferia diventa così una condizione permanente, non un passaggio. Un luogo che concentra povertà educativa, isolamento sociale, mancanza di spazi di aggregazione.

Un dato simbolico racconta meglio di altri questa trasformazione: negli ultimi vent’anni la quota di adolescenti che vede i propri amici ogni giorno si è dimezzata. Le tecnologie spiegano solo in parte questa dinamica. Il resto riguarda la progressiva scomparsa di luoghi sicuri e accessibili dove stare, incontrarsi, costruire relazioni.

In questo quadro la scuola aperta nel pomeriggio assume un valore che va oltre la didattica. È un presidio territoriale, un argine alla marginalità, soprattutto dove mancano alternative. Eppure l’accesso al tempo pieno resta profondamente diseguale, penalizzando proprio le aree che avrebbero più bisogno di continuità educativa.

Il ritratto che emerge è quello di un paese che tratta i giovani come una variabile dipendente dal contesto, lasciando che la nascita in un quartiere invece che in un altro determini opportunità e fallimenti. Un’Italia che assomiglia sempre più a una grande periferia, dove l’età giovane smette di essere una promessa e diventa una fragilità strutturale.