“Lo Sconosiuto” di Irène Némirovsky. Solo finti nemici nell’orrore della guerra. Il dramma del fronte non salva nessuno: siamo tutti Caino e Abele

"Lo Sconosciuto" di Irène Némirovsky. Solo finti nemici nell’orrore della guerra. Il dramma del fronte non salva nessuno: siamo tutti Caino e Abele

Quando si parla di Irène Némirovsky è inevitabile innamorarsi delle pagine, delle storie, dei personaggi, dei luoghi rappresentati, delle sofferenze e delle gioie. L’intensità narrativa è uno dei tratti peculiari della scrittrice, specie quando si parla di guerra, avendo vissuto sulla sua pelle l’orrore del fronte, delle persecuzioni e del campo di concentramento. Venne uccisa ad Auschwitz nel 1942. A soli 39 anni. Negli ultimi anni la sua potenza narrativa è stata riscoperta. E Lo Sconosciuto, novella riportata alla luce nell’edizione di EDB, si pone sulla stessa scia di Suite Francese e Il Ballo. Cambiano location e personaggi, ma il leit-motiv resta lo stesso: il pervasivo desiderio di raccontare l’uomo nel suo profondità più radicali, in situazioni in cui apparenze e finzioni cadono e si sciolgono, lasciando posto solo all’Io. E tutto questo attraverso uno stile elegante e una trama coinvolgente e mai banale. Irène Némirovsky parla di guerra, ma non gli occorre scendere al fronte.

Ciò che alla scrittrice interessa è cogliere l’uomo, nella sua quotidianità. E spogliarlo, pagina dopo pagina. Tra silenzi, racconti e pause di riflessione. Basta una fotografia a due fratelli entrambi di ritorno dalla guerra a svelare nervi scoperti e a porre domande inquietanti cui, forse, è meglio non rispondere, come dirà Francois rispondendo al fratello Claude. Tutto comincia in una stazione di una città imprecisata. I tedeschi sono entrati in Belgio e i due fratelli, entrambi soldati, stanno tornando a casa, dopo essersi “riuniti” grazia alla licenza per il matrimonio della sorella. Parlano, si rinfrancano, si consolano. E raccontano storie. Esperienze. Orrori della guerra. Claude comincia, incalza, non vuole essere interrotto. Ciò che ha da dire è, forse, troppo importante. Le pagine della novella si susseguono, sempre più incalzanti. Quattro mesi prima, durante una perlustrazione, Claude, il fratello più grande, ha ucciso un tedesco e, frugando nelle sue tasche, ha trovato una foto. Una foto che interroga e sorprende. Perché nel volto, illuminato da Francois, entrambi riconoscono il padre. “È talmente lui, talmente il suo sguardo sopra gli occhiali, talmente il suo sorriso, e questa fossetta sul mento stretto, un mento come il mio, e come quello del suo terzo figlio”, dice non a caso Claude al fratello.

Una storia, un espediente per dire altro, in un processo induttivo che va dal particolare all’universale. Come scrive nel suo commento il professor Jean-Luis Ska, “il nemico che uno si trova di fronte è nientemeno che un fratello. In ogni battaglia, in ogni combattimento, un Caino uccide suo fratello Abele”. Gli uomini sono per essenza fratelli nella grande famiglia dell’umanità. Sono solo le circostanze e le ideologie a decretare chi vincerà e chi perderà, chi tornerà a casa per riabbracciare la famiglia e chi marcirà sul campo di battaglia. Un gioco di fili e destini. Null’altro. Capire questo sarebbe servito ieri. E servirebbe oggi.