Lo spreco fa gol negli stadi: 60 milioni l’anno

di Carmine Gazzanni

Pochi giorni e cominceranno i tanto attesi mondiali in Brasile. Per l’occasione una valanga di soldi è stata utilizzata per ristrutturare stadi e costruirne ex novo altri. E, come spesso accade in questi casi, le polemiche non sono mancate. Soprattutto per i ritardi: dei 12 stadi che hanno beneficiato dei finanziamenti, solo per 6 si è arrivati alla fine dei lavori. E, ovviamente, ora i costi cominceranno a lievitare: le ultime previsioni parlano addirittura di 8 miliardi di euro. Una realtà, quella dei ritardi, che conosciamo più che bene. Si spera soltanto che i brasiliani non continuino a pagare questi lavori anche 14 anni dopo la fine dei mondiali. Un assurdo? Forse in Brasile, ma non Italia. Per capire di cosa stiamo parlando, partiamo da principio. E riavvolgiamo il nastro al 1990, ai mondiali che si tennero in casa nostra.

Il disastro Mondiali ‘90
Proprio in virtù di quest’evento si pensò di rinnovare, tra le altre cose, tanti e tanti stadi. Ed ecco allora un versamento spropositato di soldi: un totale di circa 48 miliardi di lire stanziati con la legge n. 65 del 1987 per le strutture di Bari, Roma, Napoli, Bologna, Verona, Udine, Torino, Palermo e così via. Insomma, un fiume di soldi che avrebbe dovuto portare immensi benefici per gli impianti sportivi nostrani. Peccato però che oggi, a distanza di 14 anni, la situazione – per usare un eufemismo – non è poi così florida. Per dire: il San Paolo di Napoli oggi accusa notevoli problemi strutturali tanto che il terzo anello (realizzato proprio per i Mondiali ’90) è stato chiuso. Motivo? Surreale: propagazione di onde sismiche per le “eccessive esultanze” dei partenopei. In realtà la vera ragione è un’altra: la propagazione è causata dalla struttura (oggi sempre più fatiscente) in ferro. Una situazione incredibile, dunque, tanto quant’è quella del San Nicola di Bari: la cosiddetta “astronave” di Renzo Piano oggi accusa problemi strutturali derivanti da una copertura in teflon che non regge più. E ancora: i cosiddetti “petali” (così sono chiamate le gradinate poiché staccate fra di loro) non sono mai state completate. Come se non bastasse, nel 2012 è stato pubblicato un video da un tifoso del Bari in cui si denunciava l’incredibile incuria della struttura: appena dietro le tribune non c’erano recinti di sicurezza ma solo un vuoto di 50 metri di altezza. Sono, questi, solo alcuni degli esempi tra i tanti che si potrebbero fare. Costi altissimi per strutture fatiscenti. O, addirittura, che nemmeno esistono più. Prendiamo il caso del Delle Alpi di Torino, oggi “sostituito” dallo Juventus Stadium. Come sottolinea il database degli stadi italiani “staditalia.it”, il Delle Alpi è costato oltre 226 miliardi di lire negli anni ’90 per poi essere chiuso nel 2006 e demolito nel 2009 per i motivi più variegati: spalti troppo lontani dal campo di gioco, costi per la manutenzione troppo alti e sistema di irrigazione che, nei fatti, allagava il manto erboso. La vicenda dello stadio di Torino, però, fa eco a numerose altre. La Notizia è andata a rispolverare la relazione dell’allora ministro per le aree urbane Carmelo Conte sulle “opere infrastrutturali nelle aree interessate dai mondiali di calcio del 1990” presentata in Parlamento l’11 aprile del 1990, da cui emerge che, a distanza di soli pochi anni, tutti i costi preventivati sono aumentati a dismisura: oltre al caso del Delle Alpi (aumento del 126%), c’è quello dell’Olimpico di Roma (112%), quello di Napoli (86) o quello di Verona (63).

60 milioni spesi ancora oggi
Il risultato – paradossale – è che ancora oggi paghiamo per impianti che, come abbiamo visto, molto spesso sono fatiscenti e abbandonati. Basti consultare il bilancio di previsione di Palazzo Chigi degli ultimi anni. Per coprire i mutui accesi con la legge 1987 abbiamo pagato 55 milioni nel 2011 e oltre 60 nel 2012 e 2013. E anche quest’anno c’è da pagare: dal bilancio preventivo per il 2014, infatti, leggiamo che “euro 61.200.000,00 sono destinati all’erogazione delle rate di mutuo, di cui alla legge n. 65 del 1987 e successive integrazioni e modificazioni, per l’impiantistica sportiva”. Diceva Luciano De Crescenzo: “Quella del calcio è l’unica forma di amore eterno”. Ora sappiamo che lo sono anche le sue spese.