Lo Stato tocca il fondo. Pure le vittime di usura lasciate senza soldi. I sussidi sono previsti entro 2 mesi. Ma c’è chi li ha ricevuti dopo 8 anni

di Carmine Gazzanni

È la notte tra il 28 e il 29 febbraio scorso quando Tiberio Bentivoglio, l’imprenditore reggino noto per la sua battaglia contro il racket mafioso, è vittima di un attentato. L’ennesimo. Questa volta la ‘ndrangheta decide di incendiargli e distruggergli l’intero deposito della sua “Sanitaria Sant’Elia”, il negozio di articoli per gravidanza e prima infanzia, che da anni continua a tenere aperto nonostante le minacce dei clan ‘ndranghetisti. Come detto, non è la prima volta che Bentivoglio finisce nelle mire criminali, da quando ha deciso di non piegarsi all’usura e al pizzo. Addirittura, nel febbraio 2011 provano anche ad ucciderlo. Solo per una fortunata coincidenza il proiettile che lo avrebbe raggiunto alla schiena viene deviato dal marsupio che indossava. Quella di Bentivoglio è una delle storie più eloquenti non solo per la testimonianza di chi resiste, ma anche per l’evidenza dell’abbandono da parte dello Stato. Già, perché Bentivoglio è uno dei tanti coraggiosi che dicono “no” alla criminalità organizzata, sperando nella protezione dello Stato che spesso, poi, non arriva. Pochi probabilmente sanno che già la mattina dopo l’incendio, Bentivoglio ha ricevuto la visita di un ufficiale giudiziario: è vicino allo sfratto perché non ha i soldi per pagare. E questo perché il fondo per le vittime di usura e racket è insufficiente e, se arriva, arriva con gravissimo ritardo. Insomma, al muro sono lasciati da tempo non solo i familiari delle vittime di mafia, ma anche quelli che hanno provato a resistere agli strozzini delle mafie e che, spesso, vivono anche sotto scorta.

KALASHNIKOV E INGIUSTIZIE
E la storia di Bentivoglio non è certamente l’unica. Surreale, ancora, quella di Antonino De Masi (nella foto), l’imprenditore attivo nelle costruzioni di macchine agricole al porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Nell’aprile 2013 sono stati sparati 44 colpi di kalashnikov contro uno dei suoi capannoni. Il motivo? De Masi non voleva pagare il pizzo. Ha resistito, dunque, anche lui. Peccato però che lo Stato ha accumulato incredibili ritardi: ci sono voluti circa 8 anni di controversie legali e 15 sentenze del Tar prima che De Masi accedesse al fondo. Tutto questo, nonostante la legge stabilisca che lo Stato ripaghi la vittima entro 60 giorni dal fatto. E tornando a Bentivoglio non va meglio: per il tentato omicidio, è stato rimborsato con 16mila euro. Versati dopo 3 anni.

STATO E MAFIE
Ma non basta. Perché spesso, poi, i fondi nemmeno sono sufficienti. E così quanto dato a De Masi non bastava a mantenere in piedi la sua azienda. Tanto che, per assicurare gli stipendi ai suoi 150 dipendenti, è dovuto ricorrere a prestiti con le banche che, a loro volta, se ne sono approfittate con tassi usurai, come riconosciuto da sentenze di primo grado, Appello e Cassazione. Ma anche qui: il risarcimento ancora dev’essere versato, con la conseguenza che azienda e operai rischiano il lastrico. Insomma, a volte pare proprio che lo Stato riesca laddove “falliscono” le mafie.

Twitter: @CarmineGazzanni