L’obiezione di coscienza è ecologica, ora lo dice anche una sentenza

Il diritto alla sostenibilità: il caso Grimalda apre un precedente storico sull’obiezione di coscienza ecologica nel lavoro.

L’obiezione di coscienza è ecologica, ora lo dice anche una sentenza

In un’epoca in cui la crisi climatica è ormai una realtà tangibile, con eventi meteorologici estremi che si susseguono a ritmi sempre più serrati, la storia di Gianluca Grimalda, ricercatore italiano licenziato per essersi rifiutato di prendere l’aereo, assume un significato simbolico e giuridico di enorme portata. La sentenza del tribunale di Kiel, in Germania, che ha riconosciuto il diritto di Grimalda a non volare per motivi ecologici, rappresenta un precedente storico: è la prima volta che un tribunale riconosce il diritto all’obiezione di coscienza ecologica nel mondo del lavoro.

Un licenziamento che ha fatto storia

Gianluca Grimalda, climatologo e attivista del movimento Scientist Rebellion, lavorava per il prestigioso Kiel Institut für Weltwirtschaft (IfW) quando, nell’ottobre 2023, è stato licenziato per essersi rifiutato di tornare in aereo dalla Papua Nuova Guinea, dove stava conducendo una ricerca sul rapporto tra globalizzazione, cambiamenti climatici e coesione sociale. Grimalda aveva scelto di viaggiare via terra e mare, riducendo drasticamente le emissioni di CO2 rispetto a un volo aereo. Una scelta inizialmente approvata dal suo istituto, ma che è diventata motivo di conflitto a causa di ritardi burocratici e logistici che hanno ritardato il suo rientro.

L’IfW ha imposto a Grimalda di rientrare in aereo per accorciare i tempi, ma lui si è rifiutato, sostenendo che il suo impegno per la riduzione delle emissioni di gas serra non era negoziabile. Il licenziamento che ne è seguito ha scatenato un dibattito globale, diventando un caso emblematico della crescente tensione tra principi personali e obblighi professionali in un’epoca di emergenza climatica.

La sentenza: un precedente storico

Dopo oltre un anno di battaglia legale, il tribunale del lavoro di Kiel ha dato ragione a Grimalda, chiudendo la disputa con un accordo che prevede la revoca del licenziamento immediato e il pagamento di un’indennità al ricercatore. Sebbene il contratto sia stato risolto per “divergenze ideologiche”, la sentenza rappresenta una vittoria significativa per il movimento ambientalista e per tutti coloro che lottano per un mondo del lavoro più sostenibile.

Grimalda ha annunciato che donerà 75.000 euro del risarcimento ricevuto a iniziative per la protezione del clima e l’attivismo ambientale. “Mi sento triste e felice allo stesso tempo”, ha dichiarato. “Triste per aver perso un lavoro che amavo, ma felice perché il giudice ha riconosciuto implicitamente l’impossibilità di licenziare un dipendente per il suo rifiuto di prendere un aereo. Spero che il mio caso ispiri altri a sostenere la transizione verso società decarbonizzate e incentrate sulle persone”.

Un atto di disobbedienza civile

Grimalda non è nuovo a scelte radicali in nome della sostenibilità. Da oltre dieci anni, ha adottato il “viaggio lento” come forma di protesta e azione contro la crisi climatica. Ha calcolato che il suo viaggio di 28.000 chilometri dalla Papua Nuova Guinea all’Europa, effettuato senza l’uso di aerei, ha ridotto le emissioni di CO2 di dieci volte rispetto a un volo. Una scelta che, come ha spiegato in un’intervista, è maturata gradualmente, spinta dalla consapevolezza dell’urgenza climatica e dalla frustrazione per l’inerzia delle istituzioni.

“Quando ho iniziato a fare viaggi lenti, pensavo che i disastri climatici sarebbero arrivati dopo il mio orizzonte di vita”, ha raccontato Grimalda. “Ma mano a mano che la scienza ci ha fornito dati sempre più allarmanti, ho capito che non potevo più limitarmi a fare ricerca. Dovevo agire”.

Un dibattito che va oltre il caso singolo

Il caso Grimalda solleva interrogativi cruciali sul futuro del lavoro in un’epoca di emergenza climatica. Come conciliare le esigenze delle aziende con i principi etici dei dipendenti? È possibile riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza ecologica come un diritto fondamentale sul lavoro? Secondo Jörn A. Broschat, l’avvocato che ha difeso Grimalda, la sentenza rappresenta una “pietra miliare” per la tutela dei principi climatici nel mondo del lavoro. “È tempo che legislatori e aziende integrino la sostenibilità nei contratti e nei diritti dei lavoratori”, ha dichiarato.

Wolfgang Cramer, direttore di ricerca presso il Cnrs in Francia, ha sottolineato l’importanza di tale approccio: “Gli accademici possono allertare sulla crisi climatica non solo attraverso il loro lavoro, ma anche modificando il proprio contributo personale alle emissioni”.

Un messaggio per il futuro

Grimalda non si ferma qui. Dopo la sentenza, ha annunciato che tornerà in Papua Nuova Guinea per proseguire le sue ricerche sull’adattamento delle comunità locali ai cambiamenti climatici, continuando a viaggiare in modo sostenibile. La sua storia, oltre a ispirare istituzioni e aziende a favorire pratiche più rispettose dell’ambiente, rappresenta un monito per tutti noi: la crisi climatica non è più una minaccia lontana, ma una realtà che richiede scelte coraggiose e immediate.

In un mondo in cui il tempo stringe e gli ecosistemi sono al collasso, la sentenza su Gianluca Grimalda non è solo una vittoria legale, ma un segnale potente: il diritto a lottare per il pianeta è un diritto inalienabile, e nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra il proprio lavoro e la salvezza del mondo in cui viviamo.