Londra fuori dall’Europa. Per l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi non è l’Apocalisse. Ma la Brexit costerà comunque molto

La Brexit non è stata un disastro, ma non sarà una passeggiata. E non è un modello da seguire. Ecco cosa ne pensa l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi

La Brexit non è stata un disastro, come preconizzato, ma di sicuro non sarà una passeggiata. E soprattutto non è un modello da seguire. L’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, racconta cosa accadrà nei prossimi mesi.

Cosa bisogna attendersi da ora?
È iniziato il mese per gli europei per definire una posizione unitaria a 27 Paesi. Bisogna indicare la strategia negoziale nei confronti di Londra, che è comunque obbligata a trovare un accordo. Non può funzionare la tesi, espressa nelle scorse settimane dalla premier Theresa May, del “nessun accordo, meglio di un cattivo accordo”. Questo comporterebbe delle conseguenze politiche, minando anche la stabilità interna del Regno Unito e provocando danni economici grave.

Perché necessita di un accordo?
La sua economia è interdipendente con l’Europa e il legame non si può sciogliere. In caso di rottura ci sarebbero conseguenze rilevanti per il sistema produttivo.

Cosa deve fare l’Italia per salvaguardare i propri interessi?
La circolazione delle persone è un elemento importante, visti i tanti professionisti italiani che lavorano in Gran Bretagna. Dobbiamo essere sicuri che non sia toccato un principio di rispetto sugli europei presenti nel Regno Unito. Poi c’è la circolazione delle merci: per l’Italia è fondamentale mantenere l’integrazione economica. Infine, bisogna tenere agganciata la Gran Bretagna all’Europa sulle politiche della Difesa.

C’è un possibile vantaggio da trarre?
Non farei voli pindarici sulla riduzione delle attività della City. Milano è certo una sede concorrenziale per attirare investitori. Ma dobbiamo essere realistici, senza alimentare illusioni.

Può nascere un sentimento di vendetta verso Londra?
Non avrebbe alcun senso condire la trattativa di elementi emotivi. Bisogna ragionare sugli equilibri degli interessi nazionali. Se un Paese prende una strada, non si può pensare di punirlo.

Finora è convenuta la Brexit?
I Brexiters hanno fatto male i conti sia sull’immigrazione che sul costo della permanenza nell’Unione. Sul primo punto hanno confuso la sicurezza con l’immigrazione. A Birmingham la radicalizzazione è avvenuta con persone cresciute in Inghilterra. Mentre sul piano dei vantaggi economici, i sostenitori della Brexit non avevano capito di dover far fronte a una nota spesa importante. Parliamo di una cifra tra i 40 e i 60 miliardi di euro, relativa al bilancio 2014-2020. Chi ha votato per la Brexit ha sottostimato questi aspetti.

L’allarmismo prima del voto sulla Brexit è stato esagerato?
L’andamento della Borsa dimostra che non c’è stato un contraccolpo, al contrario di quanto previsto dai circoli politically correct europei. Gli scenari apocalittici vengono disegnati per convincere gli elettori, che tante volte sono più realistici rispetto alle élite. C’è, comunque, un rovescio della medaglia: l’Inghilterra si è imbarcata in una situazione molto più difficile rispetto alle previsioni dei Brexiters.

Altri Paesi possono seguire il modello Brexit?
Una Frexit sarebbe ancora più complessa: un Paese che è anche nell’euro quindi con un debito pubblico denominato in euro, che coinvolge finanziatori stranieri. Un quadro sicuramente più oneroso in confronto alla Gran Bretagna. E non parliamo poi dell’Italia: abbiamo un debito ancora più elevato da onorare e gli interessi da corrispondere sarebbero altissimi.

Queste osservazioni limitano il rischio di esplosione dell’Ue?
C’è un dibattito intenso sulla direzione dell’Europa. L’unica cosa che non deve avvenire è l’immobilismo.

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