L’Ue accusa Trump per la stretta sui fondi umanitari, ma poi lo emula con “tagli brutali” ai contributi per i rifugiati

Bruxelles condanna i tagli umanitari degli Usa, ma il divario tra le promesse Ue e i fondi realmente versati mette a rischio milioni di vite

L’Ue accusa Trump per la stretta sui fondi umanitari, ma poi lo emula con “tagli brutali” ai contributi per i rifugiati

Mentre l’Unione Europea punta il dito contro l’amministrazione Trump per la stretta sui fondi umanitari, i numeri raccontano una verità meno comoda: l’Ue non solo non colma il vuoto lasciato da Washington, ma tradisce le proprie stesse promesse. Lo ha ricordato con parole nette l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati Filippo Grandi, che ha denunciato “una crisi di responsabilità” e “tagli brutali” da parte dei maggiori donatori, Ue compresa.

Nel 2023, l’Unhcr ha registrato un fabbisogno globale di 10,9 miliardi di dollari, ma ha ricevuto meno della metà: solo 4,8 miliardi. Il “Team Europa”, pur rimanendo tra i primi tre contributori, ha mantenuto livelli di finanziamento nominali invariati rispetto agli anni precedenti, nonostante l’aumento esponenziale dei bisogni. In termini reali, equivale a un taglio. La Commissione europea ha stanziato per quell’anno 1,7 miliardi di euro per gli aiuti umanitari: una cifra incapace di tenere il passo con i flussi crescenti di rifugiati e la moltiplicazione delle crisi in Sudan, Siria, Myanmar e altrove.

Slogan e contabilità

La retorica europea è tutta centrata su parole come “umanità”, “neutralità” e “imparzialità”. Nei documenti ufficiali e nelle conferenze dei donatori, Bruxelles si presenta come un “partner fidato” e custode dei principi umanitari. Ma nei fatti, la politica estera dell’Unione ha incorporato l’ossessione securitaria dei governi nazionali. I fondi vincolati – quelli che impongono alle agenzie di destinare le risorse solo ad alcune aree geografiche o progetti – sono cresciuti a scapito dei fondi flessibili. Nel 2023, i finanziamenti “lievemente vincolati” sono crollati del 42%, e la libertà di allocazione dell’Unhcr è stata drasticamente compromessa.

Non è una questione tecnica. Il vincolo politico dei fondi impedisce all’agenzia di rispondere dove serve: nei contesti più trascurati, come il Ciad per i profughi sudanesi o l’Etiopia per quelli eritrei. Le decisioni strategiche sono guidate più da agende di contenimento migratorio che da valutazioni sui bisogni umanitari reali.

Tra sovvenzioni e deterrenza

Bruxelles ha rafforzato nel tempo una linea di finanziamento che subordina gli aiuti allo sviluppo alla cooperazione dei Paesi terzi nella riduzione dei flussi verso l’Europa. Lo schema UeTurchia del 2016 è stato il prototipo: fondi in cambio di blocchi alle frontiere. Da allora, la strategia si è espansa e consolidata. Accordi simili sono stati siglati con la Libia, nonostante le denunce dell’Unhcr su respingimenti illegali, violenze nei centri di detenzione e assenza di garanzie giuridiche.

La Corte dei Conti europea ha sollevato più volte il problema: scarsa trasparenza, rischio di violazioni dei diritti, e incoerenza tra la narrazione di Bruxelles e la pratica dei suoi partenariati. Le Ong parlano apertamente di “aiuto trasformato in leva di deterrenza”, e l’Unhcr ammonisce: “stiamo creando le condizioni che alimentano i movimenti secondari che poi vogliamo bloccare”.

Il prezzo delle omissioni

Le conseguenze sono concrete. Nel 2024, i fondi ricevuti dall’Unhcr sono scesi sotto il 50% del necessario. Il collasso di servizi essenziali è già in atto: in Egitto sono stati sospesi tutti i trattamenti non urgenti per i rifugiati; in Bangladesh quasi un milione di Rohingya rischiano di perdere l’accesso a cure salvavita. In Etiopia, la chiusura dei centri nutrizionali ha causato la morte di bambini malnutriti. Il Programma Alimentare Mondiale ha tagliato le razioni in Siria, Afghanistan e Yemen. A pagarne il costo sono donne, bambini, malati, anziani. Ma anche la stabilità regionale, come ha avvertito Grandi: “Con meno fondi, si perderanno vite umane. E l’instabilità busserà alle porte dell’Europa”.

Ipocrisia istituzionalizzata

L’UE ha criticato le decisioni di Trump di ridurre gli stanziamenti USA all’estero, come nel caso dell’Unrwa o dell’Oms. Ma di fronte alla sua stessa paralisi – fatta di stanziamenti insufficienti, fondi condizionati e obiettivi sbilanciati sulla sicurezza – ha scelto la via della rimozione. La crisi del 2015 dovrebbe essere un monito, non solo un ricordo da evocare. Il rischio oggi non è solo quello di abbandonare milioni di persone, ma di alimentare le condizioni per una nuova stagione di emergenze.

L’Europa che chiede impegni agli altri è la stessa che non onora i propri. E il deficit più grave non è nei bilanci, ma nella coerenza.