L’ultima balla di Fontana. La fornitura dei camici di famiglia non è mai stata convertita in donazione

Tra chi pensa che qualcosa di strano sia accaduto nel cosiddetto affaire camici, non lo pensano solo nel Movimento 5 Stelle ma anche i magistrati. Infatti più passa il tempo e più aumentano i dubbi del procuratore Francesco Greco che dopo aver scoperto la multa da mille euro da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac, ndr) nei confronti di Attilio Fontana ora mette nel mirino i conti correnti e soprattutto la gestione del patrimonio all’estero del governatore leghista della Lombardia. Si tratta dell’ormai conto in Svizzera con depositati 5,3 milioni del presidente Fontana, denaro ereditato dalla madre e poi scudato, da cui sarebbe dovuto partire il bonifico di 250 mila euro, poi bloccato in quanto giudicato “un’operazione sospetta” dall’Uif della Banca d’Italia, a titolo di risarcimento al cognato per il mancato profitto derivato dalla trasformazione della fornitura in donazione. Ma gli accertamenti non si limitano solo a questo. Anzi la Procura di Milano è convinta di aver definitivamente trovato la risposta sull’assenza, almeno allo stato attuale dei fatti, di documenti che provino ufficialmente la trasformazione del contratto di fornitura di 75 mila camici da parte della società Dama, per oltre 500 mila euro, in una semplice donazione. A bloccare tutto è stato l’ufficio legale di Aria spa, la centrale acquisti di Regione Lombardia, che ha dato parere negativo e quindi chiesto di non accettare la donazione dei dispositivi medici forniti dalla società di cui il cognato del governatore, Andrea Dini, è amministratore delegato e la moglie del leghista possiede una quota minoritaria del 10%. Può sembrare una circostanza favorevole agli indagati e invece è l’esatto contrario. Secondo il codice civile, una donazione di “non modico valore” necessita dell’atto pubblico notarile e della presenza di due testimoni. Peccato che tutto ciò non sia avvenuto e che la richiesta di revocare il contratto di fornitura, giunta di fretta e furia lo scorso 20 maggio dopo che la vicenda è deflagrata sui media, si è basata su una pura e semplice email inviata da Dini all’allora direttore generale di Aria Filippo Bongiovanni. Non solo. Gli stessi legali di Aria spa segnalano anche che a contribuire al rigetto del cospicuo regalo è stato anche il conflitto di interessi dovuti ai legami familiari delle persone coinvolte.

LA MULTA DA ANAC. Proprio seguendo la pista del denaro girato attorno alla vicenda, dalle indagini è emerso pure che Fontana nel 2017 è stato multato dall’Anac per omessa dichiarazione dello stato patrimoniale. Stando a quanto trapela, il leghista era accusato dall’Authority di non aver fornito al Comune di Varese, di cui il politico è stato sindaco fino al giugno 2016, lo stato patrimoniale del 2016 ossia relativo al 2015 e da cui sarebbe risultata la nuova disponibilità di 5 milioni di euro che erano stati sanati e che erano in rientro dalla Svizzera utilizzando lo scudo fiscale. Peccato che tale dichiarazione, norme alla mano, sia obbligatoria per tutti i “titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione e di governo”. Proprio per questo si è attivata l’Anac che avrebbe più volte sollecitato il governatore a porre rimedio alla questione, senza mai trovare risposta. Silenzi per i quali l’Authority non ha potuto far altro che emettere la sanzione da mille euro nei confronti dell’allora sindaco di Varese. Ad onor del vero tutto cambia nel marzo 2018 quando Fontana diventa presidente della Lombardia e nell’ambito dell’applicazione delle norme sulla trasparenza, pubblica correttamente sul sito istituzionale della Regione il suo stato patrimoniale.