L’ultima corsa di Mennea

di Mimmo Mastrangelo

Confesso. Nonostante fosse stato il campione che era stato, dei primati mondiali conquistati (e che tuttora continua ancora a detenere) non era mai entrato nelle mie grazie come lo potevano essere altri campioni dell’atletica del tempo (Fiasconaro, Fava, Pigni, Arese, Simeoni). Finché un giorno con Pietro Mennea, già lontano dalle piste, con due lauree in mano e una legislatura da Europarlamentare faccio un’ intervista (anzi il quotidiano per cui scrivevo mi implorò di fare l’intervista). Lo incontrai in un hotel del centro di Salerno e nell’avvicinarmi al campione barlettano provai un certo imbarazzo (deferenza mai avvertita con grandi regista che potevano essere i fratelli Taviani o Angelopulos, Kusturica o Kiarostami). Lui senza riserva accettò, però puntualizzò che aveva per quella chiacchierata non molto tempo a disposizione. Gli feci subito la più banale delle domande che gli potessi fare: “Come sta senza correre, le manca la pista, il magone, l’ansia della gara, l’obiettivo di un record, i duri allenamento? E lui secco, di rimando “veramente io non mi sono mai fermato, ho cambiato solo pista, faccio l’avvocato, ho un studio di commercialista e poi studio, studio e scrivo”.
Ed infatti Pietro Mennea di libri ne ha scritti più di una ventina, non se questi siano di qualità o meno, fatto sta che l’ex velocista per queste sue pubblicazioni era in perenne viaggio per città e paesi dove veniva chiamato a presentarle. A parte i libri, a parte gli studi,a parte le sue docenze nelle Università, a parte quello aneddoto che ormai tutti sanno che fu il corregionale Aldo Moro (all’epoca ministro dell’Esterno) a suggerirgli di prendere la laurea in Scienze Politiche, Pietro Mennea, che se ne andato precocemente per una malattia a sessantuno anni, rimane per il mondo sportivo, per tutti gli italiani l’uomo velocità venuto da Barletta, la “freccia del sud” che ai campionati europei di Roma del 1974 vinse l’oro nei 200 metri piani e rifilò un ottimo secondo posto nella staffetta e nei cento metri dietro al suo rivale storico, il russo Valery Borzov. Ma il suo capolavoro la gazzella Pietro, che partiva lento e guadagnava metri su metri sugli avversari con una progressione impressionante, lo confezionò alle universiadi di Città del Messico del 1979 bruciando i 200 metri in un tempo di 19,72. Record battuto dal Michael Johnson alle Olimpiadi del 1996. Quando domandai a Mennea se ci fosse rimasto male del record di Johnson lui ammise:“i record si conquistano per essere cancellati e migliorati da chi arriva dopo, altrimenti finirebbe il grande spettacolo delle emozioni che solo le gare di velocità nella atletica sanno regalare”.
Un personaggio è stato Pietro Mennea dalle tante attività, i mille interessi e, soprattutto, campione che credeva nel valore educativo e formativo di ogni disciplina sportiva. Ci ha lasciati Mennea conservando ancora oggi un primato mondiale che, naturalmente, secondo la sua teoria dovrà cadere prima o poi. Riguardano i 14, 8 secondi con cui corse nel 1973 i 150 metri piani sulla pista dello stadio di Cassino. Usain Bolt ha provato nel 2009 a frantumarlo quel primato, ma senza riuscirci. Pietro Mennea non è stato solo il campione di velocità, ma una sorta di sperimentatore della vita con sempre qualcosa da aggiungere alle tante attività. Infatti, quando lo incontrai era diventato da uno-due mesi direttore generale della Salernitana Calcio. Andò via da Salerno solo poche settimane dopo, ma a me Pietro Mennea è rimasto da quell’incontro (che superò di molto i pochi minuti da lui prestabiliti) per sempre nel cuore.