M5S e Pd, destini incrociati. Già in bilico l’asse giallorosso. Con Conte leader del Movimento l’intesa è scontata. Ma se al Nazareno tornano i renziani salta tutto

M5S e Pd, destini incrociati. Già in bilico l’asse giallorosso. Con Conte leader del Movimento l’intesa è scontata. Ma se al Nazareno tornano i renziani salta tutto

Ci sono delle date e dei passaggi che inevitabilmente segnano la storia dei partiti e di conseguenza, segnano il corso della politica e ne determinano gli scenari. Così è stato per la svolta della Bolognina che portò allo scioglimento del Pci e alla sua confluenza nel Pds o il congresso di Fiuggi che determinò lo scioglimento del Msi e alla nascita di Alleanza Nazionale, o in tempi relativamente più recenti la costituzione del Pdl (nato dall’unione dei due principali partiti di centro destra Forza Italia e la stessa An) e del Partito democratico, nato come unione di diversi partiti per formare un unico partito di centro sinistra.

Il Pd, appunto, che è nuovamente di fronte ad un appuntamento fondamentale: domenica prossima l’Assemblea dovrà provare a sciogliere i nodi, rilanciare la sua azione politica e soprattutto eleggere un nuovo segretario dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti. Che hanno aperto non solo una questione di leadershio interna ma anche il tema della strategia complessiva del partito, ed è qui che il destino dei dem si incrocia inevitabilmente con quello di un’altra formazione, il Movimento 5 Stelle, alla prese a sua volta con un passaggio cruciale al suo interno.

Perché il tema vero, al di là del nome del futuro segretario dem, sarà se questi abbia o meno intenzione di portare avanti il progetto di un’alleanza strutturale con i grillini che non sia il semplice sostegno all’esecutivo Draghi ma che si sostanzi in un vero e proprio progetto comune, come quello che aveva in mente Zingaretti che non a caso ha fatto entrare esponenti pentastellati nella sua Giunta in regione Lazio. E che si dovrebbe sostanziare in un “fronte comune”, con candidati condivisi anche alle prossime Amministrative d’autunno.

Non sono poche però le questioni che attendono il leader in pectore dei pentastellati, Giuseppe Conte (che nell’idea del segretario dimissionario e del suo consigliere Bettini, del progetto del “campo progressista” avrebbe dovuto essere il federatore) anche in casa propria: dalla rifondazione del Movimento, che sta studiando assieme al fondatore Beppe Grillo – l’idea è quella di una segreteria leggera di cui l’ex premier sarà il capo – fino ad una exit strategy per dirimere la controversia su Rousseau, la piattaforma che che governa le votazioni degli iscritti e tutte le forme della “democrazia partecipata digitale” e che sostanzialmente ha a che fare con la possibilità d’azione e col ruolo di Davide Casaleggio, che oggi presenta il suo “Manifesto Controvento”, una sfida politica, o almeno così è stata percepita dai vertici romani, alla linea del Movimento, ma con cui si sta cercando in queste ore una mediazione per non arrivare ad una traumatica rottura.

Che si andrebbe ad aggiungere alle espulsioni e agli addi che hanno caratterizzato le scorse settimane, ultimo in ordine di tempo quello del senatore Francesco Mollame che ieri ha deciso di abbandonare il suo gruppo di appartenenza per aderire al Misto “perchè non condivide alcune scelte recenti”, come quella del gruppo interparlamentare con Pd e Leu. Posizione comune (i destini che si incrociano…) a molti anche nel Pd, alla base dei malumori che hanno porato alle dimissioni di Zingaretti: non è un mistero che nell’ultimo anno e mezzo molti parlamentari non abbiano condiviso l’idea di un comune percorso politico, e non solo fra le due minoranze, quella degli ex renziani di Base riformista e i Giovani Turchi di Matteo Orfini.

Non è un caso che dalle parti del Nazareno in queste ore si stia ragionando su Enrico Letta, sicuramente non identificabile come “renziano” (per ovvie ragioni) ma neanche uno “zingarettiano” di stretta osservanza, anche se le aree interne di maggioranza, a partire dallo stesso Zingaretti e da Andrea Orlando hanno convenuto sul fatto che potrebbe essere il nome adatto per unire le diverse animedel partito. Il pressing nei suoi confronti è serrato e qualcosa sembra si stia muovendo anche se, trapela da fontidem, Letta non sarebbe disponibile senza un accordo unitario, cioè il sostegno di tutte le componenti del Pd, e senza un mandato pieno da segretario e non semplicemente da “reggente” in vista del congresso.

Come ha ben evidenziato Franco Mirabelli, senatore ed esponente dei Areadem di Dario Franceschini, che nella partita ha sicuramente un ruolo determinante: “C’è bisogno di un segretario nella pienezza delle sue funzioni, potrebbe essere una donna come Roberta Pinotti o potrebbe essere certo Enrico Letta, che avrebbe lo standing per fare bene questo lavoro, per tenere insieme la maggioranza congressuale che ha eletto Zingaretti avendo anche la possibilità di dialogare con la minoranza”.