Magistrati pasticcioni, e lo Stato non incassa

di Clemente Pistilli

Tra canoni a prezzo di saldo e beni concessi gratis, con la società che era stata costituita per far crescere il porto di Bari ma che è poi fallita, sedici manager avrebbero prodotto un danno superiore agli undici milioni di euro alle casse dell’Autorità portuale del capoluogo pugliese. Gli inquirenti contabili, al termine delle indagini sulla “Bari Porto Mediterraneo srl”, hanno ricostruito uno spaccato di errori e perdite a tutto danno delle casse pubbliche. Dopo aver chiamato i sedici presunti responsabili del danno e il curatore della srl a risarcire l’ingente somma, gli stessi magistrati avrebbero però collezionato una serie di errori, con atti scarsamente definiti ed illogici. Il risultato? I giudici della Corte dei Conti della Puglia hanno ritenuto che in quelle condizioni non fosse possibile fare un processo e hanno annullato tutto: allo Stato non tornerà indietro un centesimo.

Il Comitato portuale di Bari, nel 2004, ha deciso di costituire la “BPM srl”, per esternalizzare i servizi. Al fine di garantire continuità alle diverse attività, a capo della società è poi stato messo lo stesso presidente dell’Authority, che all’epoca era Tommaso Affinita. Una srl costituita con capitale dell’Authority, poi incrementato con quello di altri soci. Giunto quattro anni dopo al timone dell’organismo portuale Francesco Mariani, sono stati sollevati i primi dubbi sulle somme versate dalla “Bari Porto Mediterraneo” per le aree in concessione e sull’attribuzione in comodato gratuito alla srl di diversi beni, ipotizzando che anziché fare affari con la società l’Authority avesse perso somme rilevanti. Giunte le prime conferme in tal senso, le concessioni sono state annullate e la srl è fallita.

La Corte dei Conti, stimando il danno in 11.221.962 euro, ha chiamato Affinita e altri quindici componenti dell’Authority, tra dirigenti, consiglieri e sindaci che aveva approvato al convenzione con la “BPM”, oltre alla curatela della stessa società, a risarcire la somma. Nessuno però ha rischiato poi di dover pagare: i giudici hanno annullato tutto perché gli atti formati dagli inquirenti sarebbero stati generici e illogici, pieni di contraddizioni e carenze.