Malumori e tanta delusione ma nel Movimento non ci saranno scissioni. Lo sfogo degli ortodossi sui social. I vertici però sono sicuri che nessuno lascerà i 5S

Malumori e tanta delusione ma nel Movimento non ci saranno scissioni. Lo sfogo degli ortodossi sui social. I vertici però sono sicuri che nessuno lascerà i 5S

Come spesso si dice, i numeri sono argomenti testardi. Ma anche i numeri, quando si vuole in maniera testarda rigirare la frittata a proprio piacimento, possono dar adito a più letture. Ed è esattamente quanto capitato ieri nel Movimento cinque stelle dopo la lettura della squadra di governo di Mario Draghi. Nelle chat, a seconda dei casi, era tutto un esultare o un criticare. “Abbiamo quattro ministeri! Ottimo lavoro”, scriveva qualcuno.

“Abbiamo un solo ministero più di Forza Italia e peraltro due senza portafoglio”, ribatteva qualcun altro facendo anche notare di aver perso un ruolo chiave come il ministero dello Sviluppo economico, finito peraltro a un uomo potente della Lega come Giancarlo Giorgetti. Tutti appunti legittimi e suffragati dai fatti, ma che suonano in maniera differente (anche opposta) a seconda di chi li pronunciava.

CRITICI ALL’ATTACCO. Come forse qualcuno si aspettava, le speranze che l’annuncio della squadra di governo potesse affievolire le polemiche interne scaturite dopo il voto su Rousseau che ha di fatto dato il lasciapassare al governo Draghi, sono scomparse nel momento stesso in cui l’ex presidente della Bce ha elencato i nuovi ministri che proprio oggi alle 12,00 giureranno al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E il motivo è presto detto: chi aveva già riserve nei confronti di Draghi certamente non è stato agevolato nel cambiare idea dopo aver sentito tra gli altri i nomi in fila di Renato Brunetta, Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna.

Qualcuno degli ortodossi, d’altronde, non ha nascosto la propria contrarietà anche sui social: “Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere…”, commenta su Facebook il deputato Francesco Forciniti. “Il super ministero chiesto da Beppe Grillo – scrive Barbara Lezzi sulla sua pagina – non c’è. Il ministero dell’Ambiente non sarà fuso con il ministero dello Sviluppo economico. Eh no, perché il ricco ministero per lo Sviluppo economico sarà affidato alla Lega con Giorgetti. Noi non abbiamo votato per questo sulla piattaforma Rousseau”. E Alessandro Di Battista si domanda: “Ne valeva la pena?”. E giù commenti di attivisti che concordano con l’aria critica dei pentastellati. C’è chi, sarcasticamente, scrive: “Brunetta, Gelmini, Carfagna: bentornato 2008”. Non proprio il massimo per chi aveva intenzione non solo di riformare la politica, ma anche di rinnovarla.

PUNTI DI DOMANDA. Uno scenario, dunque, per il quale non sarebbe impossibile adesso immaginarsi nuovi fuoriusciti. Un’ipotesi che, secondo quanto risulta al nostro giornale, è piuttosto reale. Le voci critiche all’interno del Movimento restano. Personaggi autorevoli come Nicola Morra se dovessero abbandonare i Cinque stelle, potrebbero comportare conseguenze nei gruppi parlamentari, rendendoli ancora più instabili. Quel che pare, tuttavia, è che se anche dovessero esserci altri fuoriusciti (di fatto individuabili nella decina di parlamentari che giorni fa avevano partecipato alla riunione web per spiegare le ragioni del loro no a Draghi), non si andrà incontro a una vera e propria spaccatura.

Esattamente come avevano previsto i big, infatti, l’aver affidato la decisione sul governo di Super Mario agli attivisti, di fatto fa sì che adesso il principio della democrazia diretta tenga tutti col freno a mano tirato. Il concetto è semplice: chi accusa il Movimento di esser venuto meno ai suoi principi appoggiando un governo con personaggi lontani anni luce dai Cinque stelle, non può uscire dal gruppo venendo meno al principio dei principi, quello appunto della partecipazione orizzontale. Resta, tuttavia, un dubbio: e se qualcuno dei parlamentari – vedi Pino Cabras – dovesse comunque votare no alla fiducia al governo? Significherebbe dare “rappresentatività” a quel 40% che ha detto no a Draghi (percentuale certamente non trascurabile…) ma significherebbe anche votare contro Di Maio e Patuanelli tra gli altri. Verrebbe cacciato? “Per ora non c’è una linea – ci spiegano – Domani chissà…”.