“Managerializziamo le imprese, così può ripartire l’industria italiana”: parla il presidente di Federmanager, Quercioli

In vista dell'assemblea di Federmanager, parla il presidente Valter Quercioli: "Bisogna managerializzare le imprese".

“Managerializziamo le imprese, così può ripartire l’industria italiana”: parla il presidente di Federmanager, Quercioli

Valter Quercioli, presidente di Federmanager, quella di oggi è un’assemblea importante perché ricorre l’ottantesimo anniversario della vostra Federazione. Ci arriviamo in una fase particolare tra guerre e questioni economiche. Se dovesse individuare un tema centrale di questa assemblea, quale indicherebbe?

“Il tema centrale di questa assemblea è la nostra idea di futuro che non può che passare da un recupero della forza dell’industria. Perché, nonostante tutta la retorica, nell’industria si pagano gli stipendi medi più elevati, c’è il valore aggiunto pro capite più elevato e quindi è necessario sostenerla. Siamo calati troppo negli ultimi 20 anni da un 24% del Pil a poco più del 17%. E, guarda caso, in parallelo è cresciuta sempre di più la questione salariale. Perché nel mondo dei servizi, in particolare dei servizi alla persona, alla ristorazione, al turismo e quant’altro, non c’è un valore aggiunto per addetto tale da sostenere retribuzioni più elevate, però su quei fronti lì sta andando gran parte delle forze lavorative, soprattutto giovanili. E quindi chiaramente c’è una pressione salariale al ribasso”.

Negli ultimi 34 mesi abbiamo avuto 31 cali della produzione industriale…
“Abbiamo avuto un calo di produzione industriale, fortunatamente non seguito da un calo proporzionale del valore aggiunto. Questo perché? Stanno scomparendo sempre di più le produzioni a basso valore aggiunto perché non ci sono più lavoratori. E l’industria si sta spostando su produzioni a valore aggiunto più elevato”.

E quali sarebbero queste produzioni?
“L’energia è uno dei settori a valore aggiunto più elevato, tutto il mondo della meccanica, il biomedicale”.

Settori influenzati dalla pandemia, ma anche dall’inflazione legata alle guerre e al riarmo…
“Il Made in Italy è fatto, essenzialmente, dalle quattro A: abbigliamento, arredamento, automazione e agroalimentare. Il più grosso settore esportatore italiano non è la moda, ma è la meccanica. La meccanica porta le grandi risorse. Questi sono settori ad alto valore aggiunto. La proposta che faremo al governo arriva dopo aver analizzato bene la situazione. L’industria italiana è fatta di 370.000 imprese, dalle più piccole alle più grandi, e di queste solamente 20.000 sono managerializzate, cioè hanno dirigenti o quadri apicali che le guidano, insieme agli imprenditori. E se andiamo a vedere chi sono queste 20.000 aziende, sono tutte quelle che il mondo ci invidia, sono tutte quelle da cui i clienti internazionali vengono a comprare, e sono quelle che tengono alta la bandiera dell’Italia nel mondo. La nostra proposta è molto semplice: delle 350.000 imprese che rimangono, managerializziamo le prossime 20.000”.

Nell’ottica di questo percorso di rilancio, visto che comunque parliamo di imprese esportatrici, il tema dei dazi preoccupa e quanto?
“Posto che i dazi sono sempre esistiti nel commercio internazionale e chiunque fa operazioni internazionali conosce molto bene il tema, quello che colpisce non è il dazio in sé ma il dazio nelle relazioni Europa-Stati Uniti che invece erano arrivati a un livello molto basso. Però, se noi andiamo a vedere quanto pesa l’export verso gli Stati Uniti nell’industria europea, ma anche italiana, è poco meno del 10%, che sono tanti soldi ma è una cosa assolutamente recuperabile. Tant’è vero che i dazi ci sono, sono già operativi, però non sono arrivate crisi di impresa. Il vantaggio dell’Italia poi qual è? Gli Stati Uniti sì, mettono i dazi, ma non hanno le capacità industriali per fare quelle cose e quindi devono comunque comprarle. Le comprano per forza e le pagano di più. Perché per creare uno stabilimento farmaceutico in piena operatività ci vogliono 3-4 anni. Nel frattempo li devi acquistare altrove”.

Che giudizio dà sulla Manovra? C’è una misura che ritiene positiva e un’altra che cambierebbe o eliminerebbe?
“Noi siamo una categoria di contribuenti medio-alta e riteniamo che il nostro sistema fiscale sia eccessivamente sbilanciato, nel senso che la progressività fiscale è corretta, ma quando abbiamo il 5% dei contribuenti che paga il 43% dell’Irpef il problema non è la progressione, qui siamo in una esponenzialità fiscale irragionevole. Capiamo che la coperta è corta, però se a essere scoperti sono sempre gli stessi non va bene. Nella Manovra, tutto sommato, nella fase di accorpamento degli scaglioni fiscali la sterilizzazione avviene per i redditi superiori a 200.000 euro. Registriamo un timido passo avanti nell’ascolto nei nostri confronti e di questo ringraziamo il governo. È sufficiente? No, perché c’è da recuperare uno squilibrio talmente vasto che serve un lavoro di riequilibrio fiscale molto più ampio con una lotta seria all’evasione e all’elusione fiscale”.