«Se io non so quali sono i soldi di cui dispongo io non posso spendere. E questo significa che dal 1° marzo dovrò togliere il 90% a tutti i contratti per le società che dipendono dal Comune. Quindi, niente più autobus, niente più raccolta dei rifiuti urbani, tutti i musei chiusi, che non avrò più i soldi per l’illuminazione pubblica, per riscaldare gli uffici pubblici. Non potrò più pagare gli straordinari e dovrò tagliare di almeno il 40% i contratti di tutto il personale». Così il sindaco Marino ha reagito al no al decreto Salva Roma. «Roma ha sperperato per decenni – ha aggiunto Marino – Io non voglio più spendere neanche un euro che non sia messo a bilancio. Tra l’altro dietro l’angolo c’è la canonizzazione di Papa Wojtyla». Renzi ha così replicato: «Il governo approverà il decreto sugli enti locali ma inviterei ad usare anche tra noi un linguaggio diverso».
di Marco Castoro
Lo Stato italiano ha finanziato i debiti della Fiat per anni. Poi, invece di farsi ridare i soldi prestati, ha permesso all’azienda automobilistica di andarsene a fare fortuna all’estero.
Lo Stato ha salvato Alitalia dal fallimento. Ora però se non ci fossero gli Emirati arabi la compagnia e i loro dipendenti starebbero a zampe all’aria. Tutte operazioni lodevoli ma a fondo perduto che hanno indebitato le casse statali.
Adesso c’è da salvare Roma. Per ora il decreto è tornato al mittente e il sindaco Marino ha già minacciato che se non arrivano i soldi Roma si blocca. Senza fare i leghisti, i quali farebbero meglio a guardare che cosa trasportano nel Carroccio, proviamo a dare una botta al cerchio e una alla botte. Partendo dal concetto che salvare Roma non è la stessa cosa di salvare Brescia o Catania.
In difesa di Roma
La città eterna è la Capitale. Collettore e crocevia di tutti i problemi del Paese. Una metropoli i cui confini sono inferiori solo a Londra (perfino New York è più piccola). Roma ha una superficie di oltre 1.200 km quadrati. È 12 volte più grande di Parigi e ha un’estensione maggiore di circa un terzo rispetto a Berlino. Dentro l’aerea capitolina entrerebbero più di 8 Milano.
Quindi stiamo parlando di uno stato più che di una città. Inoltre ci sono tanti problemi che danneggiano i romani (ma non solo).
A cominciare dalle manifestazioni: ce ne sono 500 l’anno. Per poi proseguire con il salasso dell’addizionale Irpef più alta d’Italia. In pratica per tenere in pareggio i conti del Campidoglio ogni residente dovrebbe pagare una sovrattassa di altri 400 euro.
I mali di Roma
Ma il Campidoglio merita il default anche per tutta una serie di errori politici e manageriali che si sono susseguiti negli anni. Giunta dopo giunta. Dalla sinistra alla destra. Il disavanzo del Comune di Roma è di 1,2 miliardi di euro. Ci sono tre aziende municipalizzate (Ama, Atac e Acea) che costano un botto. Le spese del personale superano il disavanzo del Campidoglio. I manager si portano a casa stipendi da capogiro.
Tra tutte le controllate e gli amministrativi del Campidoglio ci sono oltre 60 mila dipendenti (più del doppio di tutti gli stabilimenti Fiat messi assieme). Le farmacie comunali sono le uniche farmacie che finiscono in perdita. Hanno più buchi in bilancio di quante voragini abbiano le strade della città eterna. Recentemente il cassiere dell’Urbe ha dovuto tirare fuori 15 milioni per “metterci un cerotto”.
La tassa sui rifiuti non è pagata da tutti. Solo ora l’attuale sindaco Marino ha cominciato a farla pagare alle ambasciate che per anni sono state uccel di bosco. Senza parlare dei privilegi di cui usufruisce il Vaticano.
Ma il vero scandalo riguarda gli alloggi comunali e gli ambulanti. Gli immobili di proprietà del Campidoglio sono 43 mila e il Comune come rendita ne ricava una media di 50 euro al mese ciascuno! Allucinante!
Gli ambulanti che hanno invaso la città continuano a pagare affitti irrisori. Un venditore di castagne paga un euro al giorno. Quanto un’auto parcheggiata per un’ora. E poi dicono che non ci sono i soldi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.