L’Italia non è come la Bce. Lezione dell’Economist ai media zerbino di Draghi

Troppe aspettative su Mario Draghi il Salvatore. Governare un Paese e una Banca centrale non è la stessa cosa, c’è il rischio delusione

L’Italia non è come la Bce. Lezione dell’Economist ai media zerbino di Draghi

Un editoriale dell’Economist, il prestigioso settimanale inglese di economia mette in guardia dalle delusioni. Le “grandi aspettative” nei confronti di Mario Draghi sono “comprensibili”, ma dovrebbero essere “temperate”, scrive il settimanale. E poi ancora: “L’Italia ha una voce più forte sulla scena europea grazie a Draghi. Ma questo non dovrebbe richiedere un miracolo. L’Italia è uno dei membri fondatori, il terzo paese più popoloso e la sua terza economia più grande. Prima di Draghi, non era sempre trattata come tale”.

Lezione dell’Economist ai media zerbino di Draghi

L’Economist prosegue nella sua analisi spietata e continua: “Non ci sarà sempre e gestire una banca centrale è diverso da gestire un paese… alla Bce, uno può tirare una leva e il denaro esce. Nel governo italiano, si può tirare una leva e scoprire che non è collegata a niente”. Poi si occupa anche del futuro perché “fra due anni ci saranno le elezioni e riformare l’Italia non è un lavoro veloce”.

Insomma gli inglesi distruggono l’immagine di SuperMario, nomignolo che fa riferimento ad un idraulico di origine italiano dei videogiochi, e istillano dubbi sulla sua capacità di agire concretamente in un meccanismo difficile come è quello italiano, fatto di leve che – appunto – se fiduciosamente tirate si scopre – come in un film dell’orrore – che non sono collegate a nulla, come se la cloche dell’aereo non avesse poi un pilota.

L’editoriale dell’Economist è il secondo in una settimana proveniente dal mondo anglosassone e risponde a quello del New York Times che invece era più possibilista sulle capacità dell’attuale premier di guidare la macchina Italia verso esiti certi. Ed in effetti, le aspettative su Mario Draghi sono quantomeno esagerate. Vediamo perché. Draghi è stato chiamato a salvare la Patria e l’Italia – come dicono gli inglesi – ha una grande (e pericolosa) tradizione di salvatori della Patria, come anche diceva Machiavelli.

L’Italia non è come la Bce

Gli ultimi sono stati Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Il primo lo definiscono un “clown” dedito ai festini orgiastici il secondo uno che non ha mantenuto le promesse. E quindi gli italiani sono rimproverati per questa attesa medianica e fiduciaria che si risolve sempre irrimediabilmente in delusioni di proporzioni apocalittiche. Draghi ha un obiettivo a termine: mettere in sicurezza il Paese sfruttando il buon nome che ha in Europa dopo esser stato il presidente della Bce.

Ma, detto questo, ci sono due vincoli temporali: fra un anno l’elezione del capo dello Stato e quello dopo le elezioni politiche. In entrambi gli appuntamenti Mario prenderà il volo. Il piano A di Draghi è infatti quello di diventare presidente della Repubblica e data la mancanza di concorrenti credibili la cosa è possibile. Ma se lo diventa l’Italia sarà ancora in balia di qualche nuovo condottiero che dovrebbe inevitabilmente ricominciare da capo.

Il piano B

Se invece non riesce a salire al Quirinale il piano B prevede la creazione dell’ormai tradizionale partito-movimento che sfrutta qualche mese di popolarità del leader per poi scomparire malinconicamente nel nulla come p successo in passato a Mario Monti e similari. Quindi ha ragione l’Economist: niente di strategico niente di fondamentale. Solo un periodo di gestione della transizione. Si sta infatti creando un clima messianico sul premier, “uomo della provvidenza”, “uomo di Francoforte”, “uomo della salvezza”, ma ancora solo “uomo e neppure politico, solo strumento del presidente Mattarella che così ha tappato solo temporaneamente una falla evitando le elezioni anticipate dopo la caduta del secondo governo Conte.

Draghi, oltretutto, è stato chiamato appositamente per due cose: in primis gestire il Recovery Fund e in secundis per gestire la pandemia. Il primo compito, e cioè la gestione di una cospicua pioggia di miliardi di euro che stanno facendo venire l’acquolina a tutti i partiti, è la partita principale. Tra l’altro, non si capisce come mai di ben 221,5 miliardi di euro la Sanità sia l’ultimo settore di investimento con 15,5 miliardi (l’8%) mentre la transizione ecologica è la prima voce con ben 57 miliardi di euro (il 30%). Ma come? C’è una pandemia in atto, l’Italia ha chiuso per decenni gli ospedali, non ci sono posti in terapia intensiva e Draghi la mette all’ultimo posto, dopo pure a Inclusione e coesione che ha in dote 19,1 miliardi (il 10%)?