Un altro trucchetto ed è fatta. Così in Italia si muore due volte. Slitta il giudizio sulla tragica fine di Martina Rossi. Gli imputati possono essere salvati dalla prescrizione

Ieri la Cassazione ha rinviato al prossimo 7 ottobre l’udienza per la morte della studentessa ligure Martina Rossi, avvenuta il 3 agosto 2011 a Maiorca.

Un altro trucchetto ed è fatta. Così in Italia si muore due volte. Slitta il giudizio sulla tragica fine di Martina Rossi. Gli imputati possono essere salvati dalla prescrizione

Semmai servissero altre prove per dimostrare che la prescrizione è una via di fuga dai processi, e al tempo stesso una causa dei tempi lunghissimi della giustizia, la vicenda di Martina Rossi conferma tutto questo. Su richiesta degli avvocati degli imputati, già condannati a tre anni per tentata violenza sessuale, ieri la Cassazione ha rinviato al prossimo 7 ottobre l’udienza per la morte della studentessa ligure, avvenuta il 3 agosto 2011 in un hotel di Palma di Maiorca.

Con questo rinvio i due giovani toscani alla sbarra, Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sono a un passo dalla salvezza, in quanto il reato si prescriverà pochi giorni dopo: il 16 ottobre. Di qui la mossa degli avvocati – che il padre della vittima ha definito “mezzucci” – di chiedere un ricalcolo delle date del procedimento e così far sostituire la sezione feriale della Cassazione con la Quarta sezione penale.

CAVILLI E RINVII. Ora basterà trovare qualche altro cavillo e nessuno pagherà più per la morte della ragazza. Grazie alle attuali regole – confermate dalla Riforma Cartabia – il reato di morte in conseguenza di un altro reato è stato infatti già prescritto. Eppure la vicenda è drammatica, e solo la caparbietà dei genitori della ragazza hanno permesso di arrivare fino a questo punto. Martina morì precipitando dal sesto piano del suo hotel nel tentativo di scavalcare dal terrazzino di due camera.

Per questo le autorità spagnole archiviarono il caso stabilendo che si fosse trattato di suicidio, ma solo in seguito ad altre indagini si arrivò a un’altra versione: la giovane stava provando a fuggire da un tentativo di stupro. Di qui la condanna in primo grado a sei anni per Albertoni e Vanneschi, inflitta nel 2018 dal Tribunale di Arezzo: tre anni per la tentata violenza sessuale e tre per la morte della ragazza come conseguenza di altro reato.

Questa seconda parte però si è prescritta, come l’omissione di soccorso. Dopo la caduta, infatti, sono passati almeno 40 minuti prima che qualcuno si avvicinasse alla giovane ancora agonizzante. Sul suo corpo, inoltre, sono stati trovati i segni di un’aggressione, che i due imputati hanno detto di aver procurato nel tentativo di evitare che si buttasse giù di proposito.

I GENITORI DISPERATI. Su questa tragedia si è arrivati a un processo che ha collezionato un’antologia di tecnicismi e scappatoie, grazie alle quali tra poche settimane potrebbe cadere la prescrizione su tutto. A far allungare i tempi, nonostante la corsia preferenziale ottenuta dalla Corte d’appello di Firenze, è la decisione della Procura generale di Firenze di impugnare le motivazioni della condanna, con la conseguente assoluzione degli imputati.

Lo scorso 21 gennaio però la Cassazione annulla tutto e ordina un nuovo appello. Il tempo passa e a dopo dieci anni di attesa ieri i genitori di Martina erano senza più lacrime sulle scale del Palazzaccio di Piazza Cavour. “Ci aspettiamo che almeno venga consolidato quel pezzettino di verità che è rimasto” hanno detto Bruno e Franca Rossi. “Una ragazza che cade giù dal sesto piano di un albergo, che è in compagnia di due ragazzi che non fanno niente per aiutarla, evidenzia già di per sé la responsabilità. Sono riusciti a fare un processo alla vittima, poi però tanta gente ha lavorato per cercare di capire cosa era successo”.

L’attesa della sentenza però non è ancora finita. E se tutto finirà nella bolla della prescrizione, come migliaia di altri casi ogni anno in Italia, la morte di Martina per i suoi familiari sarà come accaduta due volte.