Martire senza essere santo. Il Senato butta fuori Berlusconi

di Lapo Mazzei

L’Aula e la piazza. La storia e il futuro. Silvio e il voto. La libertà e il golpe. L’omicidio politico e il rispetto delle regole. C’è tutto e il suo esatto contrario in quello che passerà alla storia come il nostro (nel senso degli italiani, al di là degli schieramenti) mercoledì da leoni, nel quale si è consumata l’uscita dal Parlamento – dopo 20 anni – di Berlusconi. Il Senato, alle 17 e 43 di un giorno di straordinaria follia, sospesa fra la grande tensione del Parlamento e la vibrata passione della piazza, ha decretato la decadenza da senatore dell’ex presidente del Consiglio. Il colpo finale è arrivato dopo la bocciatura di ben nove ordini del giorno. Subito dopo il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha invitato la Giunta a riunirsi per verificare i presupposti per la convalida dell’elezione di Ulisse Di Giacomo, che per la circoscrizione Molise, che subentra al Cavaliere. La notizia della decadenza del Cavaliere, in una manciata di minuti, ha fatto il giro del mondo, irrompendo come “breaking news” sui siti dei principali media internazionali: dalla Bbc al Wall Street Journal, dalla tedesca Faz allo spagnolo El Pais. E diversamente non poteva essere. Nella storia repubblicana non era mai accaduto che un parlamentare venisse espulso per decadenza. Dunque la storia si arricchisce di un’altra pagina, attorno alla quale si andranno costruendo libri e dossier, manuali d’istruzione e compendi. Insomma, il perfetto corollario ad un volume che resterà unico. Nonostante le campagne elettorali che verranno, le battaglie che ci saranno, come ha preannunciato il Cavaliere nel dolente intervento in via del Plebiscito, davanti a Palazzo Grazioli, dove si è svolta la manifestazione di Forza Italia. “Noi siamo rimasti qui, noi siamo sicuri di essere dalla parte giusta, siamo sicuri che non tradiremo mai i nostri elettori” dice l’ex senatore, senza mai nominare il partito del Nuovo Centrodestra fondato da Angelino Alfano dopo la scissione con il Pdl. “Ci diamo un appuntamento preciso. Già l’8 dicembre”, sottolinea dal palco della manifestazione, “faremo un incontro per festeggiare i primi mille club “Forza Silvio” che stanno sorgendo in tutta Italia”. Dunque è campagna elettorale, è sarà giocata tutta sul tema della libertà, in modo da fare una vera e propria “controprogrammazione” alle primarie del Pd. Sempre che il terreno di gioco resti occupato dagli attuali attori in campo, perché potrebbe essere sgomberato da una sinistra finalmente libera dallo spettro di Silvio. Che lo si voglia o no il Pd, e con esso tutte le sigle che stanno alle sue spalle, ha costruito la carriera degli ultimi vent’anni sull’avversione a Berlusconi, sulla demonizzazione dell’avversario che l’ha sempre battuta. Comunque e dovunque. Eppure per metterlo in panchina c’è voluto un matrimonio incestuoso fra politica e magistratura, fra una gogna mediatica e un codice penale piegato alle necessità del governo in carica. Perché Berlusconi, che lo si voglia o no, non è stato battuto politicamente ma giuridicamente. E il voto del Senato, arrivato dopo una serratissima battaglia procedurale con toni drammatici, rappresenta solo il quarto grado del giudizio. Un giudizio che sarà giudicato dalla storia. Perché questo voto è un tornate dal quale usciamo tutti un po’ meno saldi sui pedali della bicicletta. Ora sì, però, dobbiamo pedalare. Altrimenti sarà stato tutto inutile.

L’unica candidatura possibile
Consumato l’atto della piazza, un minuto dopo il voto del Senato, Berlusconi ha lasciato la sua residenza romana di palazzo Grazioli alla volta di Ciampino: destinazione Arcore, dove lo attendono i figli. I parlamentari di Forza Italia, invece, terminata la manifestazione a via del Plebiscito, si sono diretti nella sede nazionale del partito, in piazza San Lorenzo in Lucina, per fare il punto della situazione. Che non può non prendere le mosse dagli elementi sul terreno, ovvero porte chiuse per la politica attiva (almeno in termini di cariche elettive e di governo) e il rischio – venuta meno l’immunità parlamentare – di essere arrestato o sottoposto a perquisizioni e intercettazioni. Un quadro fosco che Berlusconi potrebbe evitare forse solo se un altro Stato della Ue gli offrisse il salvagente di una candidatura al Parlamento europeo, impossibile invece in Italia. La Legge Severino infatti non gli lascia spazi. Non solo Berlusconi è decaduto dal suo scranno di senatore “immediatamente, con il voto del Parlamento” come spiega il professore Carlo Federico Grosso, docente di diritto penale e avvocato, ma “a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza Mediaset, è incandidabile per sei anni”. Una tagliola che gli preclude tutto (Parlamento, governo, cariche nelle regioni e nei comuni). “Non potrà nemmeno fare il consigliere circoscrizionale” sintetizza il professore. E se non può sperare nemmeno in una candidatura in Italia all’assemblea della Ue, il discorso cambierebbe se fosse un altro Stato a offrirgli un posto in lista. “Penso che possa essere candidato al Parlamento europeo da un altro Paese, che non abbia una norma sull’incandidabilità come quella italiana”. Fantapolitica? Mai dire mai con il Cavaliere rimasto senza più cavallo.