Massonerie e grandi corruttori. La mafia nel Lazio ha nuovi alleati. Sorprese nel Rapporto regionale sui clan. Per i boss la Capitale è la città delle possibilità

Per le mafie Roma è la città delle possibilità. Nella capitale ci sono i palazzi del potere, è più facile avere relazioni, c’è un mercato enorme per la droga e pure un intreccio inquietante tra crimine e massoneria. Un luogo a cui non a caso da decenni danno ormai l’assalto le organizzazioni mafiose tradizionali e in cui si stanno sviluppando sempre più mafie autoctone, quelle di origine nomade e non solo. E come se non bastasse a smuovere gli appetiti dei clan ci sono ora le ingenti risorse in arrivo per il superamento dell’emergenza Covid. Non c’è altro posto in Italia dove la mafia assume caratteristiche simili a quelle che mostra a Roma e tali aspetti sono stati messi a fuoco nella quinta edizione del rapporto “Mafie nel Lazio”, presentato ieri dal governatore Nicola Zingaretti in un luogo simbolo (nella foto), una villa confiscata proprio alla mafia alla Romanina.

IL QUADRO. Il rapporto cerca di inquadrare i “fattori storici, criminali, socio­-economici e ambientali che hanno determinato la genesi e lo sviluppo di gruppi criminali autoctoni nel contesto di insediamento e radicamento delle mafie tradizionali a Roma”. Nella capitale è stato registrato un vero e proprio salto di qualità dei narcotrafficanti di quartiere, che hanno mutuato dalle mafie tradizionali il metodo mafioso. Si parla così di narcomafie romane, gruppi che hanno affiancato al traffico di droga la pratica costante e organizzata delle estorsioni, dell’usura e del recupero crediti abusivo, con l’uso del metodo mafioso.

A preoccupare c’è tra l’altro il particolare che i clan, dopo un lungo silenzio utile agli affari, sono tornati a far scorrere il sangue sulle strade, tra gambizzazioni e omicidi, essendo talmente succulenta la torta da far rispolverare pure le armi per tentare la conquista di ulteriori spazi di investimento e il controllo di varie attività. Con tanto di killer professionisti e broker internazionali coinvolti, oltre alla solita piaga della corruzione che è miele per i mafiosi. Non a caso, nel periodo esaminato, la locale Direzione distrettuale antimafia ha indagato per reati di associazione mafiosa ben 295 persone e 178 per reati aggravati dal cosiddetto metodo mafioso.

Sono poi attualmente confiscati 1243 beni tolti ai clan e 821 sono stati destinati al riutilizzo sociale e istituzionale. La Banca d’Italia infine ha segnalato per il Lazio 10.567 operazioni sospette, di cui 9.037 solo a Roma. Ma sempre nel rapporto viene anche sottolineato che cosche e clan, da Cosa Nostra alla ‘ndrangheta, fino alla camorra, negli anni hanno saputo “reinventarsi” nella capitale, “rinascere e allearsi per sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla città”. Con gli strumenti della corruzione sono poi appunto riusciti ad infiltrare l’economia legale e corrompere funzionari pubblici.

L’ULTIMA TENTAZIONE. Ora c’è pure la paura per i fondi Covid. Un allarme lanciato ieri, in occasione della presentazione del rapporto, dallo stesso presidente Zingaretti e dal prefetto Matteo Piantedosi. “Dobbiamo mettere al riparo dalle mafie le nuove risorse europee”, ha specificato il governatore. Preoccupazione comune a quella del prefetto. Per Piantedosi infatti “l’attenzione va posta su scenari futuri indotti dal Covid e dovuti all’arrivo di nuovi fondi che andranno preservati dall’interesse dai gruppi criminali”. “Dobbiamo stare attenti a questa miscela esplosiva, serve prevenzione, bisognerà buttare il cuore oltre l’ostacolo”, ha detto.