Matteo snobba Silvio

di Lapo Mazzei

Ammettiamolo, il siparietto andato in scena ieri mattina a Roma, protagonista principale il presidente del Consiglio Matteo Renzi e una bella signora romana, racconta più di mille parole il momento che stiamo attraversando. Dice la passante a Renzi: «Credo molto in lei». E il premier, abituato alle battute, replica ironico: «Perché non mi conosce». E poi via a piedi da Palazzo Chigi alla direzione del Pd. Pochi metri, per chi conosce Roma, ma una distanza siderale per chi segue le vicende della politica. Perché l’attuale premier e leader Pd, nel praticare con perseveranza il costante gioco al rialzo, ha proprio nel suo partito il maggior nemico. E chi non lo conosce davvero, come l’ignota signora, non sa quanto tutto ciò dia fastidio a uno che vorrebbe piacere a tutti, senza essere contraddetto. Come Silvio Berlusconi insomma. Solo che l’ex premier è sempre stato attento alle alchimie del Palazzo mentre l’attuale presidente del Consiglio è uno che presta molta attenzione alla pancia del Paese, con il quale usa la classica carota. Al Palazzo, invece, riserva il bastone nella convinzione che solo in questo modo si governa.

Sfascio e proposta
E proprio perché l’ex sindaco di Firenze usa questo doppio registro il piatto forte della giornata è l’ennesimo attacco a Grillo, vero trait d’union con Forza Italia. «Loro sono l’urlo, noi il discorso. Loro l’insulto, noi il dialogo. Loro lo sfascio, noi la proposta. Loro sono contro l’Italia, noi per l’Italia» dice Renzi, giocando sulla contrapposizione dei ruoli con il Movimento 5 Stelle, vero avversario della tornata elettorale di fine maggio. E sulla reiterazione studiata di quella stessa contrapposizione, il premier insiste per spronare il partito di cui è alla guida a «“vivere questa campagna elettorale come un derby tra rabbia e speranza». Perché la competizione del 25-26 maggio sta diventando proprio una partita «tra chi scommette sul fallimento dell’Italia e chi pensa che l’Italia ce la può fare. Loro sono la rabbia, noi la speranza. In politica avevamo i falchi e le colombe, ora abbiamo i gufi e gli sciacalli, che sfruttano ogni occasione per sottolineare che lo Stato non c’è e che non ce la faremo mai».
Nel corso dei lavori della direzione non una parola su Berlusconi e il centrodestra. Nel pomeriggio, invece, il premier affronta il tema delle riforme e dice: «Riformare la Costituzione non è autoritarismo né violenza». Se non è una mano tesa poco ci manca. Ma mentre Beppe Grillo posta su Twitter un fotomontaggio in cui al volto di Genny ‘a carogna (il capo degli ultrà napoletani immortalato all’Olimpico con la t-shirt nera inneggiante al tifoso catanese condannato per la morte del poliziotto Filippo Raciti) si sostituisce quello di Renzi, dalla direzione Pd arriva l’affondo diretto proprio al leader del Movimento 5 Stelle: «C’è chi scommette sulla disperazione» attacca Renzi. «Qualunque cosa succede sui giornali c’è chi specula e cerca di dare l’idea che non c’è più niente da fare, che le istituzioni sono finite. Grillo è andato a Piombino per tentare di fare ancora una volta di più lo sciacallo. Perché se c’è un luogo dove non vai ad attaccare il sindacato è una fabbrica in crisi. Non vai alla Lucchini a tentare di mettere i lavoratori e le lavoratrici contro il sindacato». Ma è sui sondaggi che Renzi lancia l’assalto al partito: «Il Pd ha un atteggiamento sbagliato sui sondaggi, perché abbiamo sondaggi buoni e quindi siamo contenti. Ma in questa campagna elettorale ci sono due errori che non possiamo fare: non pensare agli altri e ai sondaggi, che tra l’altro portano sfiga. Bisogna mettersi a testa bassa fino alla fine. Il vero sondaggio è il risultato del 25 maggio».

Contro De Benedetti
Inevitabile un passaggio sul bonus in busta paga dopo che Carlo De Benedetti, intervistato da Giovani Minoli a Mix24 su Radio 24, ha declassato al rango di «spot elettorale» gli 80 euro in più destinati ai lavoratori con reddito annuo fino a 26mila euro. «Gli 80 euro sono una misura elettorale?» si chiede retoricamente Renzi. «No, gli 80 euro sono un antipasto. Sono la prima misura del cambiamento. Sono il tentativo di restituire ai cittadini qualcosa che spetta loro di diritto». Infine il capitolo delle Riforme. «Dobbiamo avere il coraggio di dire con grande franchezza – sottolinea il premier durante i lavori del seminario dedicato al tema – che il modello istituzionale e costituzionale che l’Italia propone ha bisogno di modifiche. Sostenere questo non è né autoritarismo né esercizio violento della cosa pubblica. Vogliamo discutere, non vogliamo non discutere, ma vogliamo anche realizzare le riforme».