Mediobanca, la Procura al lavoro: sotto la lente le casse “alleate” di Caltagirone, Milleri e Lovaglio. Nessuna indagine sul Mef

Faro della procura anche sul Cda di Mediobanca che bocciò il piano dell'ex Ad Nagel per fermare la scalata a Mediobanca

Mediobanca, la Procura al lavoro: sotto la lente le casse “alleate” di Caltagirone, Milleri e Lovaglio. Nessuna indagine sul Mef

Un’indagine che è tutt’altro che conclusa. Anzi. È quella sulla scalata a Mediobanca da parte di Mps. La procura di Milano infatti è al lavoro sul materiale sequestrato durante le perquisizioni di giovedì scorso agli indagati, l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, al presidente di Luxottica e Delfin, Francesco Milleri, e all’ad di Montepaschi, Luigi Lovaglio.

I pm Giovanni Polizzi e Luca Gaglio, con l’aggiunto Roberto Pellicano, ipotizzano a loro carico un presunto concerto occulto con al centro l’operazione che avrebbe avuto come obiettivo finale la scalata a Mediobanca attraverso l’acquisto di azioni del Monte dei Paschi di Siena.

L’attenzione degli inquirenti si sta focalizzando, oltre all’Abb (accelerated bookbuilding, ovvero una procedura di vendita azionaria accelerata) del novembre 2024 ritenuto caratterizzato da “opacità e anomalie”, anche su quanto accadde dopo la “mossa difensiva” contro la scalata, proposta dall’ex ad di Mediobanca, Alberto Nagel, il 21 agosto 2025 al cda dell’istituto di piazzetta Cuccia. Mossa che il Cda bocciò.

La mossa difensiva di Nagel e il “no” del Cda di Mediobanca

Per gli inquirenti milanesi il 21 agosto fu infatti il giorno nel quale “si è manifestato, dunque, ed ancora una volta, con chiarezza il patto (sempre ufficialmente negato) a mezzo del quale si è conquistata la posizione di controllo su Mediobanca”, fra il gruppo Caltagirone e la holding lussemburghese che controlla Luxottica. In quella data l’assemblea di Mediobanca boccia l’operazione di Nagel, che proponeva di cedere la partecipazione in Generali, scambiandola con titoli di Banca Generali. 

Il ruolo di Enpam, Enasarco e Cassa Forense

I voti favorevoli a Nagel si fermano al 35% del capitale. Quelli contrari arrivano al 10%, quasi tutti riconducibili alle quote di Caltagirone e gli astenuti (“del tutto equiparabile negli effetti al voto contrario”) arrivano al 32%. Tra chi si astiene ci sono Delfin (20%), ma soprattutto ci sono le casse previdenziali Enpam, Enasarco e Cassa Forense con altri investitori istituzionali, che controllano un 5% del capitale. Che di fatto si schierano contro Nagel.

Per la Procura quello fu lo “spartiacque” in cui si sono “misurate le forze” interne al capitale sociale di Mediobanca in vista delle adesioni all’offerta di Mps. “L’astensione di Delfin” ha denotato “di per sé una posizione ambigua”, si legge negli atti, e “si è rivelata poco più di un espediente per mascherare il concerto” con Caltagirone.

La holding guidata da Milleri, così come le casse previdenziali che si alimentato di contribuzione obbligatoria dei professionisti, infatti non avrebbero deciso come votare guardando “ai fattori economici dell’operazione”, ma collocandosi in base alle “forze degli schieramenti pro e contro l’Ops su Mediobanca” del Monte dei Paschi.

Niente indagini sul Mef per la scalata a Generali

Ma gli inquirenti ieri hanno anche sottolineato come l’inchiesta non riguardi il Ministero dell’Economia, né il presunto “sms” che, secondo l’ad di Mps, il ministro Giancarlo Giorgetti avrebbe inviato al ceo di Blackrock dopo un voto contrario del fondo americano (“Ministro ha scritto”, dice intercettato).

L’elemento principale, come fanno notare in ambienti giudiziari, in base al quale non possono essere contestati reati sulle “anomalie e opacità” della procedura, che ha portato nel novembre del 2024 il Mef a dismettere il 15% di Mps a favore di Delfin, di Caltagirone, Banco Bpm e Anima, è che non si è trattato di una “gara pubblica”.

Il governo non fa scalate

Da quanto è stato riferito, quindi, “non è centrale” il ruolo del Mef nell’inchiesta. Il Ministero, è stato precisato, “non commette reati”, pur avendo dato un “sostegno” all’operazione, ma “il governo non scala” le banche, “non ha interesse”, sottolineano gli inquirenti. Sempre stando a quanto ricostruito, nella procedura di Abb per la dismissione di quelle quote del Monte dei Paschi che erano in capo al ministero, nelle due fasi precedenti è stata “seguita alla lettera la norma”, prevista da un Dpcm, ma “nell’ultima no”, ossia in quella di poco più di un anno fa.

La cessione delle azioni di Mps non fu una “gara pubblica”

Tuttavia, non si può individuare un reato in quella presunta cessione pilotata, perché “non è una gara pubblica” e perché un’azionista in linea di principio “può cedere a chi vuole le quote”. E la “violazione dell’obbligo di trasparenza” in questo caso non configura un reato.

Il focus degli inquirenti si è concentrato, dunque, su quella “dismissione” del novembre 2024, perché ha rappresentato, come è stato chiarito, uno dei “tasselli” della più ampia “strategia coordinata” tra Delfin e Caltagirone, per l’accusa, e con l’avallo di Lovaglio, per arrivare al controllo di Mediobanca, attraverso Mps, e a cascata, dunque, anche di Generali.