Meloni prepara la resa sul Mes. Ma non sa cosa dire ai suoi elettori

Altro rinvio della ratifica del Mes: la premier prende tempo. E cerca l'ennesimo alibi scaricando la colpa sul Pd.

Meloni prepara la resa sul Mes. Ma non sa cosa dire ai suoi elettori

Fosse per Giorgia Meloni e Matteo Salvini il Meccanismo europeo di stabilità, ovvero il Mes, non passerebbe mai. Ma la realpolitik impone che prima o poi il trattato vada ratificato per non irritare l’Europa, dal momento che il nostro Paese è l’unico a non averlo fatto. Diversamente Forza Italia è favorevole alla ratifica. Per ora Meloni non dà indicazioni ma la butta in caciara.

Altro rinvio della ratifica del Mes: la premier prende tempo. E cerca l’ennesimo alibi scaricando la colpa sul Pd

“Quello sul Mes è un dibattito molto italiano e anche molto ideologico, testimonia la strumentalità di certe posizioni: non si può parlare di Mes se non si conosce il contesto. Certe dichiarazioni mi fanno sorridere, come la segretaria del Pd Elly Schlein che dice ‘non possiamo tenere ferma tutta Europa’. Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare. Forse bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo”.

E ancora: “Alle opposizioni poi vorrei chiedere: siete stati al governo 4 anni, ma perché non lo avete ratificato se era così fondamentale farlo in tempi rapidi?”. Per concludere: “Quando saprò qual è il contesto nel quale mi muovo saprò anche che cosa secondo me bisogna fare del Mes”. È la solita strofetta della logica del pacchetto che vanno ripetendo in coro i suoi fedelissimi. Ovvero niente ratifica prima che venga chiusa la questione sulla riforma del Patto di Stabilità. Dopo il ministro Raffaele Fitto, ieri a ribadire il concetto è stato il ministro della Difesa.

La discussione sul Mes “penso che potrà avvenire alla fine di un percorso europeo, intanto il Consiglio di questo fine settimana in cui si parlerà di bilancio europeo. Successivamente si capirà, quando l’Ecofin si riunirà, quale sarà il nuovo Patto di stabilità e le nuove regole che l’Europa vorrà darsi. Alla fine di questo percorso complessivo il Parlamento potrà esprimersi sul Mes, ma penso che” potrà farlo “solo alla fine di un percorso più ampio all’interno del quale il Mes è solo una piccola parte. Il che vuol dire, prossimo anno…”, ha detto Guido Crosetto, arrivando al palazzo dell’Informazione per il Forum Adnkronos.

Dunque sebbene formalmente il Mes compaia ancora nel calendario come ultimo punto in agenda il 14 dicembre, è praticamente dato per scontato che l’Aula della Camera nemmeno questa settimana affronterà la questione. Ad ogni modo la questione è spinosa assai per Meloni, una eventuale approvazione dopo aver detto sempre no va ben motivata e vanno studiati i paletti adeguati per non perdere per strada troppi pezzi della maggioranza (leggi Lega) e per tentare di far digerire ai propri elettori la giravolta. L’idea resterebbe quella di legare una eventuale richiesta di utilizzo a un passaggio parlamentare, ma non è ancora definita (si starebbe valutando, ad esempio, se con emendamento o risoluzione).

Per FdI prima va approvato il Patto di stabilità. Così potrà indorare la pillola sulla giravolta

Rimane il problema Salvini. Se si esclude il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, che ha già ben chiaro che l’Italia non può rinviare all’infinito la ratifica, il resto del Carroccio è agguerrito e fermo sulle ragioni del no. Bisogna capire le indicazioni che darà al partito il leader della Lega. Anche in vista delle europee il vicepremier avrebbe tutto l’interesse a lasciare solo alla Meloni la responsabilità della ratifica ma votare in dissidio rispetto ai suoi alleati aprirebbe all’interno della maggioranza una crisi da non sottovalutare. Ecco allora che Meloni starebbe studiando con Giorgetti garanzie per rendere all’alleato digeribile il rospo.

Dunque non solo la via indicata da Enzo Amendola del Pd di una clausola tedesca, vincolando il futuro accesso al Mes a un voto parlamentare a maggioranza qualificata, ma anche un impegno che il Parlamento richiederebbe all’esecutivo a non utilizzare il fondo.