Meloni vuole Schlein. Perché teme di più Conte

La premier Meloni si è già scelta il prossimo avversario con cui duellare in tv, indicando espressamente la Schlein.

Meloni vuole Schlein. Perché teme di più Conte

È stato detto che dietro l’invito a partecipare alla festa di FdI, ad Atreju, rivolto personalmente a Elly Schlein, ci fosse la volontà della premier e numero uno di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, di individuare nella leader dei dem il suo principale avversario politico e dunque di legittimarla in quel ruolo. Che poi la Schlein abbia declinato è altra storia. Nel corso della conferenza stampa del 4 gennaio la premier ha confermato di avere eletto la segretaria Pd come suo principale avversario politico, accettando un faccia a faccia con lei. Ma poi, sempre nel corso della conferenza stampa, non ha fatto altro che mandare frecciate velenose al M5S e al suo leader Giuseppe Conte, dal Mes alla questione morale, dal Superbonus alla lotta alla povertà.

Meloni si è già scelta il prossimo avversario con cui duellare in tv, indicando espressamente la Schlein

In realtà ergere la Schlein a principale avversario politico per la Meloni avrebbe l’indubbio vantaggio di tagliare fuori colui che fa l’opposizione più dura al suo governo, ovvero Conte. Un ruolo di opposizione, alternativa alla destra, che l’ex premier peraltro può svolgere con maggiore libertà rispetto al Pd perché ha dalla sua un Movimento compatto su tutti i fronti caldi – Pnrr, welfare, politica internazionale, Manovra, ambiente – rispetto invece alla galassia dem che si sfalda in tante correnti e che vede su sponde contrapposte i riformisti e l’anima più radicale di sinistra che convivono nello stesso partito. Emblematiche in questo senso le spaccature che esistono sul fronte della politica internazionale, dall’Ucraina a Israele, tra chi spinge per il cessate il fuoco e per una soluzione negoziale e chi invece è appiattito sulle posizioni della Nato. Idem sull’ambiente. Dunque per Meloni è più conveniente avere come avversario la Schlein perché la leader del Pd è più vulnerabile e maggiormente attaccabile per le contraddizioni in seno al partito che guida e per la mancanza di una linea univoca su tanti temi.

Conte, evitato persino ad Atreju, le fa paura

La premier, ha spiegato Conte, “può fare le strategie che vuole e scegliere di confrontarsi con chi vuole. Con me ha rifiutato, intimando ai vertici di FdI il niet ad una mia presenza ad Atreju. Ciò che però non può fare è scegliersi gli oppositori e dare patenti di legittimità ai suoi avversari. Sulla strada dell’opposizione contro le sue bugie e i suoi fallimenti, troverà sempre me e il M5S”. A dirlo con altrettanta chiarezza è stato l’ex ministro pentastellato Stefano Patuanelli: “Meloni è legittimata a confrontarsi con chi vuole, in questo caso con chi teme meno”.

Conte è il premier che ha gestito la pandemia e ha portato il Paese a crescere di 12 punti di Pil con diversi strumenti tra cui il Superbonus che il duo Meloni-Giorgetti hanno smantellato, tarpando le ali al settore dell’edilizia che ha fatto da volano alla crescita negli anni scorsi. Nel solo anno 2023 l’incentivo ha contribuito a generare 28 miliardi di extra-gettito fiscale, che si sommano ai 100 miliardi di extra-gettito fiscale prodotti nel biennio 2021-2022. Il confronto col governo attuale sarebbe impietoso nei fatti e nei numeri, e Meloni lo sa. Sulla crescita non c’è confronto, considerando che le destre ci hanno condannato a un Pil dello zero virgola. Sul piano internazionale la credibilità del Paese con Meloni premier è idem, pari allo zero.

Il presidente del M5S ha portato 209 miliardi dall’Ue. Meloni un’ipoteca da 12 miliardi l’anno

Tre anni fa Conte tornava dall’Europa con 209 miliardi per l’Italia e ora Meloni è tornata con un’ipoteca di miliardi di tagli ogni anno. Questo, infatti, è il frutto avvelenato del Patto di stabilità, deciso da Parigi e Berlino, e che Roma è stata costretta ad ingoiare. Briciole ha ottenuto poi il governo sul fronte europeo per quel che riguarda l’immigrazione. Il calcolo complessivo del 2023 fa segnare la cifra record di 155.754 migranti che hanno raggiunto le coste italiane. Si tratta del 50% in più rispetto al 2022 e oltre il doppio del 2021. Ritornando su un terreno più squisitamente economico nulla ha fatto questa Manovra per aiutare i fragili. Invece di andare a reperire le risorse dove ci sono l’esecutivo ha preferito fare cassa sulle pensioni e tagliare la sanità e il welfare, con lo smantellamento del Reddito di cittadinanza. È incredibile poi la disinvoltura con cui la premier ha continuato a sostenere che la tassa sugli extraprofitti delle banche è rimasta.

Quando invece di fatto il governo l’ha cancellata rinunciando a due miliardi di euro. Gli istituti, infatti, possono scegliere se versare la tassa o meno: nel secondo caso possono accantonare come riserva non distribuibile un importo maggiorato rispetto alla tassa, pari a 2,5 volte l’imposta. Chiaro che tutti abbiano scelto questa seconda strada. “Mi fa sorridere che i primi a criticare il primo governo che ha tassato le banche siano quelli che quando erano al governo hanno fatto regali miliardari alle banche. Penso al M5s che è cintura nera per gli aiuti alle banche, con il decreto prestiti del governo Conte”, ha detto Meloni.

Peccato che il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia per le Pmi grazie al decreto Liquidità cui fa riferimento Meloni abbia consentito al tessuto produttivo di resistere all’urto della pandemia, ‘costringendo’ il sistema bancario a concedere prestiti garantiti agli imprenditori per consegnare loro la liquidità necessaria a sopravvivere. A Conte e al M5S si deve la paternità di tutte le principali battaglie sul Welfare e a difesa dei più fragili. Dal Reddito di cittadinanza al salario minimo. Non solo. Frutto dei Cinque Stelle è anche la battaglia contro la precarietà con il decreto Dignità che ha cercato di mettere un argine ai contratti a termine. Ma che Meloni ha pensato bene di picconare. Sulla giustizia poi il confronto non regge. Se le destre continuano a fare favori a evasori e corrotti, il M5S si è battuto per leggi come la Spazza-corrotti e per misure, dal Pos al tetto ai contanti fino al cashback fiscale, che dichiaravano guerra al sommerso e alla corruzione.

Per non parlare delle armi. La segretaria dem non è nelle condizioni di assumere una posizione contraria netta come quella dei 5 Stelle. E questo alla Meloni non può ancora una volta che fare gioco. Ecco perché la preferisce come avversaria a Conte. Che si conferma l’unico leader che non c’entra nulla col potere accumulato in decenni dai partiti tradizionali e perciò maggiormente temuto dal sistema.