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Meno mimose, più lavoro e stato sociale per la vera parità di genere

Altro che parità di genere, le donne restano a tutt’oggi svantaggiate rispetto agli uomini, in particolare sul lavoro.

Meno mimose, più lavoro e stato sociale per la vera parità di genere

Tre giorni fa, in vista dell’8 marzo, alla Camera i ministri Foti e Calderone hanno tenuto un’informativa urgente sulle politiche del governo per favorire l’occupazione femminile, anche attraverso l’utilizzo dei fondi del Pnrr. Gli interventi susseguenti delle deputate di maggioranza hanno tratteggiato un’Italia diventata l’Eldorado. Per FdI, quello odierno è “un Paese migliore per le donne che qui vivono e lavorano”. Purtroppo la realtà è ben diversa. Malgrado piccoli e lenti passi avanti, le donne restano a tutt’oggi svantaggiate rispetto agli uomini, in particolare sul lavoro. Ecco i cinque maggiori problemi.

  1. Fanalino di coda. In Italia lavorano il 53,5% delle donne contro il 72% degli uomini. Un gap del 18,5% che ci relega all’ultimo posto in Europa (il nostro tasso di occupazione femminile è inferiore del 12,6% alla media Ue). Fra il 2008 e il 2024 l’aumento delle impiegate è stato sbilanciatissimo: +20% nella fascia Over 50, +1,4% per le 25-34enni.
  2. Distanza siderale. A ciò si associa il divario retributivo di genere. Pur essendo più istruite, le donne guadagnano 8mila euro l’anno in meno degli uomini. Non a caso 74mila lavoratrici, di cui il 57,4% assunte a tempo indeterminato, percepivano il Reddito di cittadinanza a integrazione dello stipendio. Il salario minimo potrebbe favorire proprio loro: per l’Inapp, il 23,3% avrebbe un aumento. Maggioranza e governo, però, si oppongono.
  3. Controvoglia. Per l’Inps, nel 2023 le assunzioni femminili sono state il 42,3% del totale, ma solo il 18% a tempo indeterminato. Il cosiddetto part-time involontario è una piaga e coinvolge il 15,6% delle femmine contro il 5,1% dei maschi. Solo il 21,1% delle donne ricopre ruoli dirigenziali.
  4. Senza Opzione. Le cose non vanno meglio sul fronte pensionistico. Nel caso degli assegni di vecchiaia, il divario fra quanto incassano gli uomini e quanto prendono le donne raggiunge il 44,1%. Ciò anche perché l’83% di loro lavora nei servizi, laddove i salari sono più bassi. Inoltre, il governo ha cancellato (de facto) Opzione donna. Risultato: nel 2022, 26.427 lavoratrici sono andate in pensione prima sfruttando tale canale; nel 2024, per effetto della stretta, solo 3.489.
  5. Caregiver tipo. In famiglia, le donne continuano a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Una su 5 lascia il lavoro dopo essere diventata madre. L’offerta di asili nido rimane insufficiente: solo 3 Regioni raggiungono l’obiettivo Ue di 45 posti per 100 bambini da 0-2 anni. Il Pnrr avrebbe potuto (e dovuto) dare una spinta in tal senso, ma con questo governo i 264.480 nuovi posti inizialmente previsti sono scesi a 150.480. Insomma: c’è poco da festeggiare.