Si stringe il cerchio sui fiancheggiatori di Messina Denaro. Nei guai pure un ex avvocato radiato

Messina Denaro, si stringe il cerchio sui fiancheggiatori del boss. Nei guai pure un ex avvocato radiato. Perquisizioni in mezza Sicilia

Si stringe il cerchio sui fiancheggiatori di Messina Denaro. Nei guai pure un ex avvocato radiato

Prima il medico curante e il suo autista, poi il prestanome e ora pure un vecchio ex avvocato già indagato in passato in quanto presunto fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro. Giorno dopo giorno si stringe il cerchio attorno alla rete di alleati che hanno reso possibile, per ben trent’anni, la latitanza dell’ex primula rossa. L’ultimo uomo a finire nel mirino degli indagati è il 77enne Antonio Messina, un avvocato massone già radiato dall’albo.

Il personaggio

L’ex legale, condannato per traffico di droga negli anni Novanta, vive da tempo a Bologna ma evidentemente gli inquirenti hanno motivo di credere che in qualche modo potrebbe aver continuato ad aiutare Messina Denaro.

Proprio per questo i carabinieri ieri hanno bussato alla porta di due suoi immobili per perquisirli, nella speranza di trovare documenti utili all’inchiesta. Il primo si trova a Campobello di Mazara all’angolo tra via Scuderi e Via Selinunte ed è letteralmente di fronte all’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss. Il secondo, invece, si trova in via Galileo Galilei a Torretta Granitola, un’abitazione estiva sul litorale di Mazara del Vallo nei pressi della sede dell’Istituto per la ricerca marina del Cnr.

Avvocato che è tornato alla ribalta della cronaca giudiziaria due anni fa quando è stato assolto dall’accusa di traffico internazionale di stupefacenti su un maxi traffico di hashish sulla rotta Marocco-Spagna-Italia che sarebbe stato gestito proprio da Matteo Messina Denaro.

Racconto inverosimile

Proprio mentre gli investigatori passano al setaccio tutto Campobello di Mazara, i magistrati guidati dal procuratore Maurizio De Lucia hanno sentito Giovanni Luppino, l’autista del boss. L’uomo, arrestato lunedì assieme a Messina Denaro, ha detto ai pm di non aver mai saputo la vera identità del suo passeggero se non al momento dell’intervento degli uomini del Ros quando il boss gli ha detto: “È finita”.

Poi a precisa domanda su come si fossero conosciuti, Luppino ha spiegato: “Me lo presentò Andrea Bonafede (il prestanome del boss, ndr) con il nome di Francesco. Ma da quel momento in poi non l’ho più visto fino alla sera prima del viaggio a Palermo quando mi ha chiesto un passaggio per la clinica, dicendomi che doveva andare a curarsi il cancro”. Un racconto che i magistrati hanno giudicato “macroscopicamente inveritiero, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza”.

Come scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare “al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso del coltello (a serramanico) e dei due cellulari — entrambi tenuti spenti ed in modalità aereo — suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell’identità del Messina Denaro da camminare armato”, evidentemente per essere pronto a intervenire, “e a ricorrere ad un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici”.