Migranti consegnati alla Libia. Class action contro il governo

Per il ministro Piantedosi, l'Italia non consegna migranti alla Libia. In compenso finanzia gli aguzzini della Guardia costiera.

Migranti consegnati alla Libia. Class action contro il governo

C’è da capirli. Dalle parti del governo l’ultima sentenza della Cassazione che sancisce il reato “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone” ogni volta che i migranti vengono affidati alla cosiddetta Guardia costiera libica disturba il sonno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del ministro all’Interno Matteo Piantedosi e del vice premier e ministro Matteo Salvini. Ci vuole un po’ di comprensione: tutti e tre hanno costruito la propria credibilità sullo stop all’immigrazione e non solo i numeri sono esponenzialmente aumentati dimostrando che i porti chiusi sono una panzana buona solo per concimare la propaganda, ma ora anche la Cassazione stabilisce che l’intero impianto su cui si basa la politica nel Mediterraneo del governo è carta straccia.

Per il ministro Piantedosi, l’Italia non consegna migranti alla Libia. In compenso finanzia gli aguzzini della Guardia costiera

La Libia non è un porto sicuro, dice la Cassazione. A ben vedere ce lo dicono anche le centinaia di migliaia di migranti illegalmente trattenuti nelle prigioni libiche (legali e illegali) quotidianamente sottoposti a violenze e torture. Che la Libia non fosse un porto sicuro lo spiega dettagliatamente la Convenzione europea per i diritti umani. Che la Libia non fosse un porto sicuro è scritto nero su bianco nel report dell’Onu in cui gli investigatori incaricati dal Consiglio di sicurezza a ottobre dell’ano scorso hanno spiegato che l’ufficiale della sedicente Guardia costiera libica Bija insieme ai cugini Kashlaf e Osama Al-Kuni viene indicato come il “peggiore dei carcerieri”. Che la Libia non sia un porto sicuro ce lo dicono i corpi che sbucano da vivi e da morti sulle nostre spiagge.

Scrivono i giornali vicini al governo che quella della Cassazione è una sentenza politica. Non hanno torto. La sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli condanna chiunque faciliti i respingimenti illegali in Libia. Si tratta di più di 80mila persone riportati nell’inferno dei centri di detenzione dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha spiegato che “la sentenza della Cassazione va letta bene, non con una lettura di tipo politico o ideologico”.

L’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica

“L’Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall’Italia”, ci ha tenuto a sottolineare il titolare del Viminale garantendo che il suo governo si è sempre attenuto alla legge. Ci spiace contraddirlo: l’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica. Perché siamo d’accordo che sono criminali coloro che perpetuano un reato, vero ministro? Ma la sentenza è politica, eccome. Come spiega Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans “con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta ‘guardia costiera libica’ non può ‘coordinare’ nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso”.

Casarini: “Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, ma anche una grande class action contro il governo, il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”

Per questo, dice Casarini, “ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”. “Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una “sedicente” guardia costiera – aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di “mettere in salvo” le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La Suprema Corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell’inferno”.

Casarini ricorda, inoltre, che la nave Mare Jonio di Mediterranea “di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la “class action”, e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex”. C’è da comprendere l’agitazione al Viminale e a Palazzo Chigi.