Migranti, Fassina: “Sugli sbarchi la propaganda non sta più in piedi”

Per Stefano Fassina la priorità è affrontare le ragioni della fuga di milioni di persone e dargli modo di non emigrare.

Migranti, Fassina: “Sugli sbarchi la propaganda non sta più in piedi”

Stefano Fassina, economista ed ex viceministro dell’Economia del governo Letta, oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, come valuta la postura del governo sui migranti?
“Va innanzitutto rilevato che il governo è stordito dall’urto tra la propaganda del blocco navale urlata per anni dai comodi banchi dell’opposizione e la realtà complessa del fenomeno migratorio. Vivono anche in prima persona il risultato della declinazione miope dell’interesse nazionale degli Stati dell’Ue a maggiore sintonia ideologica e politica con loro. Ora, si muovono nel panico e si aggrappano alla scappatoia facile dell’emergenza e del commissario straordinario. Colpiscono le funzioni pubbliche che invece andrebbero potenziate: i servizi per l’integrazione e le attività di formazione. Ma le migrazioni sono un fenomeno strutturale e, in questa fase storica, straordinario per dimensione e caratteristiche culturali e religiose in relazione a quanto avvenuto da sempre nella storia dell’umanità. Andrebbero riconosciute da un lato le cause all’origine della fuga di milioni di persone, ossia il perdurante sfruttamento coloniale, gli squilibri climatici e non ultimo le guerre. Dall’altro, la comunità internazionale, innanzitutto i soggetti politici della sinistra, dovrebbero tornare a dedicarsi alla giustizia sociale e ambientale internazionale, alla costruzione delle condizioni per la pace negli Stati più martoriati e, con coerenza e determinazione, promuovere il diritto a non emigrare, come ribadito anche recentemente da Papa Francesco ma come scritto anche nella Pacem in Terris di Giovanni XXIII di cui in questi giorni ricorre il 60esimo anniversario”.

Eppure alla Lega questa stretta ancora non basta e chiede di azzerare la protezione speciale.
“La Lega, per tentare di sottrarsi alle responsabilità politiche dell’evidente confusione e inefficacia delle risposte di volta in volta annunciate e tentate, gioca al “più 1”, tanto la decisione di dire no alle proposte impraticabili ricade sulle spalle della Presidenza del Consiglio. È ridicolo affermare che il ridimensionamento o l’annullamento della protezione speciale possa incidere in modo significativo sulla portata degli arrivi”.

A cosa è servito il decreto sulle Ong se gli sbarchi sono triplicati?
“Il decreto sulle Ong era dettato esclusivamente dall’esigenza di corrispondere all’agenda propagandistica dei tempi dell’opposizione. È ed era noto che soltanto una minima parte, intorno al 10% degli arrivi, avviene attraverso le Ong. Con la stessa franchezza, va riconosciuto anche che le Ong non possono essere la soluzione e che possono essere, nonostante le loro ottime intenzioni, fattori di azzardo morale da parte degli scafisti senza scrupoli. Oltre ai corridoi per regolare e potenziare l’immigrazione regolare, è necessaria la presenza navale europea per fermare le partenze irregolari e soccorrere quando necessario, ma con l’impiego di uomini e mezzi in grado di intervenire per arrestare i manovali delle organizzazioni criminali che sfruttano la disperazione di uomini e donne migranti”.

Nel Def il governo scrive che il numero di immigrati ha un impatto rilevante sul debito. Si stima che con un +33% di stranieri in più il debito al 2070 scenderebbe di oltre 30 punti.
“Il Def conferma un dato statistico noto. Poiché l’Italia è in una drammatica contrazione di nascite e il Pil dipende dal numero degli occupati, l’afflusso di persone aumenta il Pil. Ma attenzione: innanzitutto, la prospettiva è di lungo anzi lunghissimo periodo; secondo, assume capacità istituzionali ed amministrative, ad oggi inesistenti, di regolazione e selezione degli arrivi e di integrazione e formazione di profili adeguati alla domanda di lavoratori e lavoratrici da parte delle imprese; terzo, i numeri di immigrati considerati nello scenario sono di ordine di grandezza diversi dai flussi previsto in assenza di interventi sulle cause strutturali delle migrazioni. Insomma, il Def, come tutti gli altri esercizi econometrici che trattano le persone come variabili economiche indifferenziate e perfettamente sostituibili, non legittimano l’ideologia no border, così diffusa nella sinistra di governo o radicale. Come sostiene efficacemente Bernie Sanders, ‘le policy no border sono policy liberiste’”.

La premier Giorgia Meloni è partita per la missione in Etiopia. Ci crede al suo Piano Mattei?
“Mattei aveva una strategia energetica fondata sulla declinazione autonoma dell’interesse nazionale propria della tanto deprecata prima Repubblica. Non sono sicuro che oggi, negli attuali rapporti di forza nell’Alleanza atlantica, abbiamo gli spazi geo-politici per esercitare analoga autonomia anche se avessimo le capacità per definire una nostra strategia energetica”.

Ritornando al Def, che giudizio ne dà?
“Il Def è l’espressione del vincolo esterno sempre più stringente sul piano di finanza pubblica e prima ancora di economia reale nel quadro del mercato unico europeo. Il Governo, qualsivoglia governo, ha ristrettissimi spazi di manovra soprattutto se non agisce sul versante delle entrate. A tal proposito sarebbe interessante sapere perché non si possono recuperare, almeno in parte le decine e decine di miliardi dì extraprofitti delle imprese energetiche, farmaceutiche, assicurative dopo gli anni del Covid e delle guerra. Con una parte del gettito recuperabile si potrebbero indicizzare a pieno le pensioni erose dall’inflazione o dare un sostegno consistente una tantum ai salari attraverso la decontribuzione”.

Rischiamo davvero di non riuscire a spendere i soldi del Pnrr?
“Sì. Era chiaro sin dall’inizio perché in venti anni di blocco delle assunzioni e di criminalizzazione della burocrazia sono state drammaticamente impoverite le pubbliche amministrazioni, in particolare quelle territoriali e del Mezzogiorno. La ricostruzione di capacità amministrative adeguate non si fa in un anno o in un paio di anni. Ma il Pnrr è l’occasione per invertire la narrazione liberista degli ultimi decenni e tornare ad investire sulla capacità amministrativa. Nel frattempo, vanno contrattati con la Commissione europea un allungamento dei tempi e un aggiornamento dei progetti in particolare per il Sud. Sarebbe inaccettabile anche la ‘soluzione’ proposta dalla Lega: ossia dirottare le risorse a rischio di blocco ai progetti redatti dalle amministrazioni del Nord. Si contraddirebbe radicalmente il fine del Pnrr: ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali”.