di Andrea Koveos
Illegittima. La presenza dei nostri militari nei luoghi delle missioni internazionali è scaduta. Alla mezzanotte del 30 settembre, infatti, è terminata l’autorizzazione del Parlamento relativa agli incarichi delle Forze armate impegnate fuori dai confini nazionali. La partecipazione dell’Italia alla guerra in Afghanistan non ha più base giuridica, economica e politica, e lo stesso discorso vale per tutte le altre missioni, soprattutto quella in Libano, che vede coinvolto attivamente il nostro Paese. Nonostante le risoluzioni dell’Onu da cui traggono origine gli impegni internazionali dei nostri soldati, la presenza italiana all’estero non è più autorizzata. La validità delle norme contenute nel decreto legge 28 dicembre 2012, n. 227 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia), convertito con modificazioni dalla legge 1 febbraio 2013, n. 12, è come detto, terminata. Il Consiglio dei ministri lo scorso 27 settembre a causa della situazione politica interna non ha provveduto all’esame e quindi alla approvazione del decreto legge di “proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione e sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e stabilizzazione”. “Questo è un problema di legalità – ha dichiarato Luca Marco Comellini, Segretario del Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia – che si è già presentato in passato ma al quale la partitocrazia non ha dato alcun peso eppure è innegabile che oggi le truppe italiche stanno occupando illegittimamente (rispetto alla Costituzione e alle leggi italiane) il suolo di altri Stati proprio perché manca qualsiasi autorizzazione da parte del Governo e del Parlamento che in queste ore sono impegnati a garantirsi una stentata sopravvivenza”. La questione, non è una mera formalità. Se oggi un soldato impegnato nella missione di guerra in Afghanistan muore o resta gravemente ferito non c’è alcuna norma che lo tuteli e la situazione si complica se uccide un afghano – in combattimento o per effetti collaterali – perché potrebbe essere accusato di omicidio. C’è di più. Secondo il Principio di irretroattività”, uno dei cardini del diritto che vieta l’applicazione di una norma penale a quelle condotte messe in atto prima della sua entrata in vigore, andrebbe ad annullarsi con l’articolo 11 delle preleggi e l’articolo 25, comma 2 della Costituzione. Il mancato rinnovo delle missioni internazionali, dunque, rappresenta un “pericolo” per i nostri soldati che ancora una volta sono vittime di un vuoto normativo che se da un lato fa mancare garanzie e tutele, dall’altro, in estremo, gli consentirebbe – legittimamente – di rifiutarsi di uscire di pattuglia a bordo di un Lince e così, allo stesso modo, di levarsi in volo e di sparare sui combattenti afghani impegnati ad attaccare le truppe straniere di occupazione. “Mi auguro – ha continuato Comellini – che il prossimo Esecutivo cambi drasticamente rotta e con il previsto ritiro delle truppe impegnate in Afghanistan (entro il 31 dicembre 2014), e in altre discutibili missioni ostinatamente definite di pace, ponga fine a queste situazioni di incertezza e illegalità che coinvolgono direttamente i nostri militari e le Forze di polizia impegnate all’estero. Intanto dalla Difesa arriva il commento tranquillizzante del ministro Mauro. “‘’Io non credo ci sia contrasto su questo tema. Nel momento in cui l’attività di governo, ce l’auguriamo tutti, potrà riprendere, un provvedimento ad hoc potrà essere subito approvato insieme agli altri provvedimenti che qualificano il nostro impegno’’.