Mille paletti sulle confische ai clan. Schiaffo di Italia Viva all’antimafia. Per il renziano Faraone è una questione di garantismo. Ma col suo ddl bloccare i beni dei boss sarà dura

Per il renziano Faraone è una questione di garantismo. Ma col suo ddl bloccare i beni dei boss sarà dura.

Mille paletti sulle confische ai clan. Schiaffo di Italia Viva all’antimafia. Per il renziano Faraone è una questione di garantismo. Ma col suo ddl bloccare i beni dei boss sarà dura

Era il 20 novembre scorso, durante la “Leopolda”, quando il senatore renziano Davide Faraone annunciò di volersi candidare a sindaco di Palermo alle prossime amministrative, con un patto stretto tra Italia Viva e Forza Italia. Nonostante proprio il capoluogo siciliano sia una delle città che da sempre maggiormente soffrono a causa degli affari e della violenza della criminalità organizzata e nonostante le precedenti esperienze politiche sull’isola non possono non aver fatto prendere piena coscienza al parlamentare di IV delle particolarità di Cosa Nostra, l’esponente del partito di Matteo Renzi si è unito ai colleghi che da tempo stanno cercando di smontare le norme sulle misure di prevenzione, quelle per confiscare i patrimoni dei mafiosi e che rappresentano un’arma micidiale contro il clan.

L’INIZIATIVA. Faraone ha presentato un disegno di legge per modificare il codice delle norme antimafia e delle misure di prevenzione appunto, in materia di confisca di prevenzione e di informazioni interdittive antimafia. Il senatore sostiene che la confisca di prevenzione, “ideata quale principale strumento di lotta alla criminalità organizzata, è divenuta uno strumento di ablazione dei patrimoni, a prescindere dalla loro natura lecita o illecita”.

Per lui gli strumenti straordinari per contrastare il crimine organizzato hanno finito per compromettere “in maniera significativa” il sistema di garanzie e di tutele delle persone, essendo sempre più frequenti e i casi in cui i sequestri colpiscono soggetti che poi vengono assolti in sede penale per gli stessi fatti. C’è una differenza tra gli elementi alla base di un provvedimento di prevenzione, preso per chi ha un certo curriculum criminale e determinate frequentazioni, e quelli necessari invece a condannare qualcuno per uno specifico reato. Sono elementi che consentono di gestire la pubblica sicurezza e di togliere risorse alle casse della criminalità.

Ma puntando sul garantismo, nonostante situazioni particolari come quelle della Sicilia, il parlamentare renziano tali armi sembra deciso a spuntarle. L’esponente di Italia Viva batte dunque sulle tante aziende sottoposte alle misure di prevenzione che vengono poi poste in liquidazione, “con effetti macroeconomici devastanti nei territori in cui le misure vengono applicate”, senza a quanto pare considerare le ragioni per cui prima dell’intervento della magistratura tante aziende si tenevano a galla.

Ma il senatore va anche oltre. Sottolinea che il timore per l’applicazione di sequestri e confische, soprattutto nel Meridione, insieme al rischio di impresa e alla crisi economica, costituiscono un “potente deterrente” ad investire in quei territori, con conseguente aumento della povertà e del degrado sociale, “di cui si alimenta la stessa criminalità organizzata”. In pratica sarebbero le norme antimafia a sostenere anziché combattere la mafia. Faraone non ha dubbi: “La confisca di prevenzione finisce, nei fatti, col perseguire intenti punitivi e afflittivi, con elusione dei principi garantistici propri della materia penale”.

Al parlamentare non vanno a genio neppure i controlli che vengono disposti dai giudici per verificare eventuali sproporzioni tra redditi dichiarati e beni posseduti. Secondo il senatore sono indagini che avvicinano il processo di prevenzione a quello inquisitorio. Faraone assicura così che con il suo disegno di legge verrebbe posto rimedio “ai problemi relativi alle palesi ingiustizie che si generano in sede di applicazione” delle norme antimafia. Con buona pace del già difficile contrasto alla mafia.