Minzolini e gli altri assenti. Le ragioni di chi non ci sta

di Vittorio Pezzuto

Assente per giusta causa. Il senatore Pdl Augusto Minzolini non se l’è sentita di votare il suo sostegno a Letta e per non mettere in imbarazzo la sua coscienza ha preferito allontanarsi dall’aula di Palazzo Madama. Un esempio seguito anche dai suoi colleghi di partito Sandro Bondi, Remigio Ceroni, Alessandra Mussolini, Nitto Palma e Manuela Repetti. «La scelta più limpida – ci conferma l’ex direttore del Tg1 – sarebbe stata quella di sfiduciare il governo, anche perché in questi giorni il resto della maggioranza ha manifestato una totale chiusura a qualsivoglia trattativa».
E infatti ieri mattina i gruppi parlamentari del Pdl, o almeno quello che ne restava, avevano deciso all’unanimità di andare all’opposizione. In pochi secondi è però cambiato tutto.
«Penso che la scelta finale di Berlusconi sia stata dettata dalla priorità di mantenere unito il partito dei moderati. Un obiettivo legittimo, che condivido. Tant’è vero che non ho preso la parola in dissenso dal mio gruppo, limitandomi a uscire dall’aula per non dover votare contro le mie convinzioni. È stato il mio modo di restare fedele alla sua leadership».
A giudicare da quanto sta accadendo, il Cavaliere ha però sbagliato i suoi calcoli: i gruppi parlamentari dei dissidenti sarebbero comunque in via di formazione per iniziativa proprio di quanti gli chiedevano di appoggiare Letta. Tutta gente che lui ha cooptato per anni.
«Ecco, gradirei non essere intruppato in quella genia. La mia esperienza parlamentare è stata finora assai ridotta, appena quattro mesi e mezzo, e non posso che restare perplesso osservando meccanismi politici così contraddittori. Mi viene il sospetto che le scelte di alcuni siano dettate dalla propensione al nuovo doroteismo: non conta quello che fai, conta soltanto quanto duri».
Cosa rimprovera a questo governo?
«Non offre al Paese quel programma ambizioso che sarebbe alla portata di una maggioranza parlamentare così vasta. Ricordiamoci l’unico precedente storico di larghe intese: quelle che ressero dal secondo governo Badoglio fino al secondo governo De Gasperi. Riuscirono a mettere insieme laici, cattolici e comunisti e si fondavano su tre obiettivi ambiziosi: recarsi compatti dagli alleati americani per trovare una via d’uscita alla condizione di povertà economica del Paese (ottenendo così agli aiuti del Piano Marshall), varare l’amnistia come strumento di pacificazione nazionale all’indomani di una guerra civile, porre le fondamenta della Repubblica con l’approvazione della Costituzione».
Stiamo parlando di giganti, mica dell’attuale classe dirigente.
«Appunto. Per avere un senso politico, questo governo doveva porsi tre obiettivi altrettanto ambiziosi».
Il primo?
«Presentarsi compatti a Bruxelles, battere i pugni e ricontrattare il rapporto deficit/Pil al 3 per cento che blocca la nostra ripresa, perseguitandoci. Siamo ormai gli unici a rispettarlo: ad esempio quello della Francia è salito al 4,6 e quello dei Paesi Bassi al 3,8. Ma lì c’è una classe dirigente autorevole e capace. Il governo Letta non ha invece tagliato un centesimo di spesa pubblica, si è limitato a rinviare le decisioni e quando le ha prese ha combinato pasticci. Ha immaginato coperture finanziarie su Imu e Iva basate sull’aumento delle accise su carburanti e alcolici, nell’illusione di un mantenimento dei livelli di consumo. Ma se questi si abbassano si crea un nuovo buco nei conti pubblici e toccherà intervenire di nuovo. Una spirale perversa».
E gli altri due obiettivi?
«Una reale pacificazione politica. E invece si fa finta che non esista un problema giudiziario enorme che riguarda Berlusconi, anche se poi in privato tutti sono convinti della persecuzione che ha subìto. Infine, le riforme costituzionali. Ma il percorso istituzionale deciso dalle Camere (con il mio voto contrario) è un compromesso al ribasso, che esclude volutamente qualunque modifica sul tema della giustizia».
E adesso?
«E adesso l’unica linea politica è quella inerziale, verso il baratro. Abbiamo perso tutti, facendo un enorme regalo all’antipolitica di Beppe Grillo. Facile che fra due mesi ci ritroviamo punto e capo. Il governo Letta non ha trovato la forza di invertire il piano inclinato che già a suo tempo ha fatto precipitare Monti. Dopo aver sputtanato il governo dei tecnici, il Parlamento ha insomma sputtanato anche quello delle larghe intese».