Morire d’aborto, primo caso in Italia

dalla Redazione

Mercoledì notte una donna di 37 anni è morta dopo aver assunto la pillo abortiva RU486. E’ accaduto all’ospedale Martini di torino. Si tratterebbe del primo episodio del genere in Italia, mentre negli Stati Uniti sono già stati registrati otto casi di intolleranza letale al farmaco. La procura di Torino ha disposto l’autopsia.

Il «padre della pillola abortiva», il ginecologo Silvio Viale, respinge «ogni strumentalizzazione» sul caso. Viale, che dirige il principale servizio italiano per IVG presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, osserva come sono «decine di milioni le donne che hanno assunto la RU486 nel mondo» e «40 mila solo in Italia». «L’episodio – aggiunge Viale – ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo (Cytotec). Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per le IVG chirurgiche, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache». Viale, nel dirsi addolorato per quanto accaduto, sostiene che sin da ora si possa «affermare che non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone (RU486), perché non ci sono i presupposti farmacologici e clinici.

ll mifepristone è regolarmente autorizzato dall’Aifa anche per le IVG chirurgiche del primo trimestre e per le ITG del secondo trimestre, per cui le buone norme di pratica clinica prescriverebbero di utilizzarlo nel 100% delle IVG e, se non è cosi, è solo per motivi politici e organizzativi». «A differenza del mifepristone – afferma Viale – sono gli altri farmaci utilizzati nelle IVG, sia mediche che chirurgiche, che possono avere effetti cardiaci, seppure raramente: la prostaglandina (gemeprost) in primo luogo, già individuata come responsabile di decessi e complicazioni cardiache, ma anche l’antidolorifico (ketorolac) ampiamente utilizzato off-label in gravidanza e l’antiemorragico (metilergometrina) utilizzato in Italia di routine in quasi tutti gli aborti in ospedale e a domicilio. Anche la gravidanza può essere un fattore di rischio. In attesa che l’autopsia indichi la causa della morte ribadisco che ben difficilmente, per non dire con ragionevole certezza, la RU486 potrà essere chiamata come responsabile diretta o indiretta delle complicazioni che hanno portato al decesso».