Suicidio a 5 Stelle del Movimento nella Capitale. Per convincere i romani non bastano quattro voti online

La strategia suicida del Movimento 5stelle nella Capitale. Ma per convincere i romani non bastano quattro voti online

di Marco Castoro

Nelle Comunali del 2013 gli elettori romani aventi diritto al voto sono stati 2.359.119. Non tutti si sono presentati ai seggi, ovviamente. Tuttavia, anche con un’affluenza del 40% stiamo sempre parlando di un bacino di un milione di persone. Ebbene che cosa fa il Movimento 5 Stelle per scegliere il suo candidato a sindaco? Si affida alle consultazioni sul web, alle quali votano 3272 iscritti. Ok è il regolamento. Ma la matematica non è un’opinione e i pentastellati dovrebbero ricordarselo. Nei sondaggi dei romani il Movimento è considerato il primo partito, perché i residenti della Capitale in questi ultimi anni ne hanno viste di tutti i colori. Con la città sfregiata sia da destra sia da sinistra, i romani hanno in cuor loro una grande voglia di cambiamento. Di eleggere un governo onesto per il
Campidoglio. Ma con queste scelte il M5s conferma quello che si pensa da tempo: non vuole vincere, forse perché ripulire e gestire Roma è un’impresa titanica. E con tutto il rispetto per i sei volenterosi vincitori della prima tornata delle Comunarie non c’è tra loro nessuno che abbia un minimo di spessore per diventare il sindaco della Capitale. Con la discesa in campo di Di Battista sarebbe stata tutt’altra musica.

RISPETTO – I romani chiedono un candidato di rispetto, non sconosciuti attivisti, che per carità saranno pure le persone più oneste del mondo ma restano sempre dei volenterosi sconosciuti. Come può una studente universitaria pensare di fare il sindaco di Roma? Mica stiamo parlando delle elezioni della facoltà. “Mi candido perché non tollero più di vedere il degrado”. Sì, Roma sarà pure una cartolina brutta da vedere, tanto per usare gli stessi luoghi comuni della candidata, ma come si risolve il problema? Cosa fare dell’Ama, dell’Atac, delle buche in strada, delle periferie ridotte come dei centri di accoglienza per profughi, rom e clandestini, degli accattoni ai semafori, della sicurezza nelle vie cittadine troppo spesso lasciate al buio, delle tasse che si pagano senza avere servizi adeguati, della corruzione e dei favori agli amici di amici? L’onestà è la prima cosa ma deve viaggiare di pari passo con l’efficienza. Di Battista parla di pugno duro, di fare pulizia. Ma bisogna metterci la faccia. Una faccia conosciuta. Non basta fare le regie occulte. È vero che anche Di Battista è arrivato in Parlamento scelto dai 300 voti delle primarie online, ma ci sono voluti anni affinché la sua personalità si trasformasse da perfetto sconosciuto in popolarità. Dei
sei finalisti delle Comunarie a Roma solo Marcello De Vito e Virginia Raggi sono nomi che gli addetti ai lavori che seguono il Campidoglio (solo loro) conoscono. Ma ai romani non dicono nulla. Tra l’altro lui è già stato candidato sindaco di Roma alle elezioni del 2013, quelle vinte da Ignazio Marino. Ha conquistato il 13% dei consensi. Un
risultato ben al di sotto delle aspettative. E sarà così pure quest’anno se non si ha il coraggio di far scendere in campo i pezzi migliori.