Napoli, un altro racconto della città può servire a tutti. Parla lo sceneggiatore di Gomorra

Parla lo sceneggiatore di "Gomorra" e della "Paranza dei bambini", Maurizio Braucci: "Una scuola dell’audiovisivo? Non la fanno".

Napoli, un altro racconto della città può servire a tutti. Parla lo sceneggiatore di Gomorra

Sono considerate deleterie per i più giovani. Come se le fiction tv sui fenomeni criminali di Napoli siano la causa del male che raccontano e non una loro rappresentazione. Così però si creano dei miti, come nel caso dei detenuti all’Istituto Minorile Penitenziario di Nisida, anche se Maurizio Braucci, scrittore e sceneggiatore di Gomorra e della Paranza dei bambini ne è scettico.

Partiamo da qui: perché Napoli è raccontata come la capitale del crimine in Italia?
“La città ha accumulato una serie di questioni irrisolte, dovute in parte alla sua complessa storia ma anche all’irresponsabilità della classe dirigente. Da anni l’Unione europea, che pure non è retta da criteri sociali, ci chiede di mettere mano alle problematiche del Meridione. Eppure poi quando accade quello che non è altro che un sintomo di una ferita evidente, ecco che ci si scandalizza. Non è un po’ ipocrita? Quale Napoli sta cambiando? Io vedo pochi che si stanno arricchendo e tanti che soffrono”.

La sorella di Giovanbattista Cutolo, ucciso lo scorso 31 agosto da un minorenne, ha scritto: “Napoli sei tu e non Mare Fuori o Gomorra”. Che ruolo hanno fiction e serie televisive in tanta violenza?
“Non mi sembra che una serie tv possa sostituire come motore del disagio l’elevata disoccupazione giovanile e la sotto-istruzione. Si possono offrire certamente storie più interessanti con una funzione sociale oltre che di intrattenimento ma chi può farlo se già nelle scuole di audiovisivi si formano i tecnici orientati a pensare solo all’audience? È un cane che si morde la coda. Da quattro anni stiamo chiedendo, come cineasti campani, che Napoli si doti di una scuola pubblica di cinema e audiovisivi gestita con più responsabili criteri formativi. Ma la Regione nicchia, non ne comprende il valore”.

La responsabilità educativa è un compito di cinema e televisione?
“Rispondo con un esempio: molti italiani quando vedono i migranti sbarcare a Lampedusa non si chiedono: perché? Si sentono solo sopraffatti, in pericolo. Si è disabituati a un approccio riflessivo, e ci si aspetta che siano gli opinionisti o i politici a dare spiegazioni. Ai prodotti audiovisivi di massa si chiede che ribadiscano dei luoghi comuni, approssimativi e semplificati”.

Napoli è presente in quasi tutti i suoi film. Oggi quale scenario vive?
“Aumentano le contraddizioni e lo stacco tra chi sta bene e chi sta male. Lo stato sociale è stato ridotto, i servizi peggiorano, il lavoro nero con lo sfruttamento. L’interesse delle produzioni cinematografiche presto finirà (i costi sono elevati), il turismo correrà su altre sponde più convenienti e qui non resterà altro che uno sviluppo senza progresso”.

La città è centro di cliché narrativi: li subisce o è essa stessa a produrli?
“I napoletani sono suscettibili. Se ne parli male si offendono, se ne parli bene ti accusano di edulcorare i fatti. I poveri vogliono esorcizzare il malessere, la classe media non vuole essere turbata, la borghesia non vuole sentire chiamate in causa le proprie responsabilità. Si va avanti per partito preso. Oltre al cliché del criminale, esiste anche quello del napoletano simpatico, filosofico e che tira a campare, che anni fa impazzava. Ricordate il caro De Crescenzo? Anche allora lo si criticava”.